lunedì 18 aprile 2011

EL GRINTA



di Sam Stoner

Il West.
Così come deve essere.
Sporco. Ruvido. Cattivo. E capace di prendersi per il culo.
Che agghiacciante piacere vedere bambini applaudire allo spezzarsi del collo degli impiccati, come pure vedere il West nei catarrosi sputi sulle assi di legno sudice e scricchiolanti dei portici di Fort Smith, dove si ammazza per non essere ammazzati, dove si ammazza per soldi, dove si ammazza per aver infranto la legge. In quel lembo di Frontiera, la vita non vale niente, anzi sui cadaveri ci si ride. 
Chalrles Portis e John Wayne
Tutto questo è possibile grazie ai Cohen, capaci di prendere il romanzo di Charles Portis (True Grit, romanzo a puntate uscito per la prima volta nel lontano 1968 sul Saturdat Evening Post e pubblicato in Italia da Giano Editore) e soffiarci dentro la vita.
Sì, perché questo è l’adattamento di un romanzo, non un remake.
El Grinta dei Cohen non è un lifting al volto segnato di Frontiera del Duca (John Wayne, protagonista del film di Hathaway del 1969 n.d.r.).
No, si tratta di un noir alla Donald Westlake o alla Elmore Leonard. Un noir che si prende davvero poco sul serio. Un risultato cinematograficamente perfetto che poteva essere vanificato. I due fratelli, infatti, dovevano maneggiare il sacro West, e le cose avrebbero potuto complicarsi non poco se avessero spinto il pedale verso la loro ben conosciuta surreale comicità nera. E invece hanno dato solo un lieve tocco “Cohen” alla già ironica lettura del West di Portis. Già, perché Portis ama e sbeffeggia il West in egual misura. Basta dare un’occhiata alla copertina originale del suo romanzo del ‘68, che invece di pistoleri, sceriffi e pallottole vede ritratta una ragazzina, la stessa che nel film ha il volto di Hailee Steinfeld. E che mette in riga con le sue taglienti parole pistoleri, ranger e uomini di legge. La sua interpretazione magistrale viene esaltata dai dialoghi, feroci e spumeggianti, ironici e duri.
Sono molte le letture di questo capolavoro, c’è il Cinema, quello con la C maiuscola: dialoghi, appunto ma anche le puntuali musiche di Carter Burwell, la fotografia decisamente noir di Roger Deakins, scenari notturni da togliere il fiato, atmosfere fiabesche e colpi di scena spietati.
Ma è l’anima del film, che tutto trascina verso il sublime, è l’anima nobile della Donna incarnata dalla Steinfeld.
Jeff Bridges, invece, è l’anima nera e cialtrona. Quella che usa la legge per ricavarci quel che può ma che ha un cuore, anche se ben nascosto sotto il fetore del sudore, dell’alcol e del cinismo. Un cuore che proprio la ragazzina riuscirà a scovare e portare alla luce.
Come del resto accade ogni giorno tra uomini e donne, fin dall’inizio dei tempi. Quella stronza di Eva a parte, ovvio.
Molti hanno parlato di El Grinta come di un western classico, ma non si vede un saloon, emblema della filmografia western. La verità è che ai Cohen non serve, loro dipingono il loro West, ed è un West che rimane dentro.
Evidente, e apprezzabile, l’omaggio dei Cohen al più grande western mai realizzato: Gli spietati, di e con Clint Eastwood. I Cohen, infatti, chiudono El Grinta ricostruendo la stessa scena che apre e chiude Gli spietati. A voi scoprire quale.

I Cohen hanno studiato.
Corbis li ha elettrizzati e ispirati.
Una sola visione non basta.
Non si raggiungono le “dovute” cinque visioni degli Spietati, ma almeno due sono d’obbligo.

Copyright 2011 © by Sam Stoner

SCHEDA FILM
REGIA: Joel Coen, Ethan Coen
SCENEGGIATURA: Joel Coen, Ethan Coen
SOGGETTO: Dall'omonimo romanzo di Charles Portis che fu già alla base del western con John Wayne
ATTORI: Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Josh Brolin, Matt Damon, Barry Pepper, Paul Rae, Jarlath Conroy, Domhnall Gleeson, Elizabeth Marvel, Ed Corbin, Dakin Matthews, Joe Stevens, Leon Russom, Mary Anzalone, Bruce Green (II), Brian Brown, Mike Watson

FOTOGRAFIA: Roger Deakins
MONTAGGIO: Roderick Jaynes
MUSICHE: Carter Burwell
PRODUZIONE: Scott Rudin Productions, Skydance Productions
DISTRIBUZIONE: Universal Pictures Italia
PAESE: USA 2010
GENERE: Drammatico, Western, Avventura
DURATA: 110 Min
FORMATO: Colore 2.35 : 1 Sito Italiano
Sito Ufficiale



SCHEDA ROMANZO
Charles Portis

Titolo: Il Grinta
ISBN 978-88-625-1077-6
Pagine 190
Euro 15,00
Collana: Blugiano
Link Editore






martedì 12 aprile 2011

L'Italia e il suo Noir da baretto


di Sam Stoner

Tutti parlano di globalizzazione, di contaminazioni, di abbattimento dei stantii confini.
In Italia, però, nel Noir si vuole affermare il Noir italiano.
E cos’è il Noir Italiano?
Ma soprattutto, c’è davvero l’esigenza di un Noir italiano?
In ambito letterario, l’Italia dovrebbe essere conosciuta nel mondo grazie a scrittori con i contro cazzi eredi di Dante, Boccaccio, Pavese. Certo, c’è chi dice che La Divina Commedia sia uno dei più grandi Noir, come lo sono le tragedie di Shakespeare e Sofocle, per non parlare di Kleast.
Ma se è così, mi chiedo: come si fa a chiamare noir le solite stronzate con il solito sfigato ispettore con il vezzo di artista che ama la cucina e non ha famiglia? Forse ne ha parlato Dante e non me ne sono accorto?
La verità è che il Noir italiano non esiste. E se continuiamo di questo passo diventeremo una macchietta ridicola agli occhi del mondo. Il nostro Noir sarà “avvertito”, “sentito” come gli ormai stereotipati “pizza e mandolino” o “mafia e spaghetti”; il Noir invece dovrebbe avere radici nella Cultura e nella Storia italiana, in questa che è la culla della Civiltà mondiale. Un Noir capace di reinterpretare l’anima italiana, anche se si tratta di un racconto ambientato in Cambogia.

Sembrerebbe migliore la situazione del poliziesco italiano.
Certo le radici qui ci sono, basta dare un’occhiata al secolo scorso Gadda, Sciascia, Scerbanenco. Ma nel ventunesimo secolo dove sono i giovani autori (sotto i cinquanta/sessanta) capaci di raccogliere l’eredità di questo terzetto?
Ed ecco che tra gli scaffali si trovano polizieschi confusi ed edulcorati, molti dei quali non resistono a farci la morale, mandarci un “messaggio” positivo. Un poliziesco buonista persino di fronte ai serial killer, buonisti anche loro, ovviamente; mai sanguinari come quelli che ci regala la cronaca e che farebbero mangiare la polvere ad Hannibal.
Di fronte a questa farsa, sarebbe meglio disseppellire il poliziesco italiano del novecento, persino quello cinematografico di Maurizio Merli e Franco Nero, quello bastardo, scoglionato, stronzo, cialtrone e sanguinario. Il poliziesco Nostro, riconosciuto persino da Quentin Tarantino. In Italia abbiamo più di un paio di scrittori capaci di farlo rivivere, ma non si applicano, forse distratti dalle richieste di editor che farebbero bene ad andare a vendere collanine sulla spiaggia invece che scaldare i loro inutili culi su poltrone inadatte ad ospitarli.

Alle nuove leve del Noir/Poliziesco italiano, come già detto, viene richiesto, sempre e comunque, di sfornare racconti e romanzi ancorati alla tradizione italiana. Non quella letteraria o culturale nobile, come accennato, ma quella del cortiletto o del baretto, della piazzetta, del paesello italiano (purché non ci si avvicini a Sciascia, per carità. C’è bisogno di novità!) cancellando con un colpo di spugna secoli di Sacro Romano Impero con una Roma capace di regnare sul mondo, annullando le imprese di Colombo, le opere di Leonardo, Michelangelo, Bernini, il Rinascimento, addirittura il più recente neorealismo del dopoguerra e persino, udite, udite, Isabella Santacroce. Che il cielo li perdoni!
Nessuno sa quale sia questa “tradizione Noir italiana”. Si sa soltanto che bisogna onorarla, servirla e ficcarla nei racconti e romanzi. E allora ecco che questi poveri cristi di nuovi scrittori forzano la loro scrittura verso i più beceri stereotipi italiani: i dialetti. Cazzo, questi sono italiani. La cucina. Cazzo, questa sì che è italiana. E via di questo passo, procedendo alla cieca.

Negli USA chiedono Thriller, Noir, Hard Boiled, Mistery e non importa dove sono ambientati e chi è il protagonista, purché ci sia la Storia o il personaggio. E sfondano. Non a caso tra i migliori racconti Mistery Usa si trova sempre almeno un racconto ambientato all’estero e con protagonisti stranieri o addirittura scritti da stranieri che si sono trasferiti in territorio statunitense; un esempio è Garry Graig Powell, cresciuto in Inghilterra e negli Emirati Arabi. Un suo racconto ambientato a Dubai e con protagonista una cinese è stato selezionato da Jeffrey Deaver (quello a cui leccano le chiappe quando stringe la mano a Faletti per ringraziarlo di tradurre i suoi romanzi in italiano e poi metterci il suo nome) per l’antologia The Best American Mystery Stories 2009.

Qui da noi, invece, se uno scrittore italiano ha la fortuna di crescere in Europa (a mio immodesto avviso, per evitare lo scimmiottamento del Mystery americano basterebbe richiedere Mystery di ambientazione Europea) e decide di ambientare un racconto a Bruxelles, può anche chiuderlo nel cassetto, a meno che non lo trasferisca nella… Ludigiana. Mica si scherza.
Qui si tratta di grandi teste di… che guidano l’ambiente editoriale Noir italiano. Scusate, non grandi teste, ma piccole, provinciali. Anzi, rionali.
Perché non dobbiamo dimenticarci che qui in Italia siamo… globalizzati. Anche nel Noir.

A frate’, fammene ‘n’artro che ciò la gola secca. ‘sta cazzo de convescion italiana de noir nun finisce più. Quest’anno pe’ fa’ le cose in grande, se so presi er baretto. Li mortacci loro…”
Copyright 2011 © by Sam Stoner



 

 

martedì 15 marzo 2011

Un'altra corona per il Re del Brivido


Stephen  King è stato selezionato come vincitore del titolo Mason Award 2011 dal Fall for the Book Festival alla George Mason University di Fairfax, VA. Il premio gli sarà consegnato il 23 settembre 2011 a una cerimonia durante la quale dovrebbe leggere estratti dai suoi libri per 30/45 minuti. Un appuntamento immancabile per i suoi affezionati. Fairfax non è male in settembre. Vi consiglio di farci un pensierino.

domenica 27 febbraio 2011

Il Cigno Nero

La pellicola si propone come candidata a peggior film dell’anno. Portman magistrale. Trama inesistente.

di Sam Stoner


La storia: Nina è una ballerina del New York City Ballet che sogna il ruolo della vita. Incalzata da una madre frustrata, si sottopone a un allenamento estenuante sotto lo sguardo esigente del coreografo Thomas Leroy, deciso a farne una fulgida stella, Leroy le assegna la parte della protagonista nella sua versione rinnovata del “Lago dei cigni”. Sul palcoscenico Nina sarà Odette, principessa trasformata in cigno dal sortilegio del mago Rothbard. La ricerca ossessiva del suo lato oscuro (il cigno nero) e della consapevolezza della propria sessualità la condurranno verso l'autodistruzione.

Recensione. Nella sala, il grande Noiosaurus aleggia imperioso. Sfiora le teste degli spettatori, regalando loro, a ogni discesa, un lieve stordimento che fa loro abbassare le palpebre e ondeggiare il capo. Altre volte, invece, dona irritazione di fronte a quello scempio di pellicola che l’incomprensibile, o meglio comprensibile solo a se stesso, Darren Aronofsky ha voluto regalare al mondo.  La trama sembra essere scappata in qualche isola tropicale. L’intreccio si dice che sia stato corrotto dall’uomo invisibile. Allo scorrere dei titoli di coda nessuno si muove, come solitamente avviene. Tutti restano al proprio posto, chiedendosi che razza di film sia quello per il quale hanno speso due ore del proprio tempo e il prezzo del biglietto. E come se ci fosse un inconscio rifiuto ad ammettere di essere stati fregati. Perché di questo si tratta, di una truffa. Trailer notevole, protagonisti di tutto rispetto, regista premiato e titolo evocativo di atmosfere hitchcockiane purtroppo perdute nella cinematografia del ventunesimo secolo. E, guardando questo insieme di immagini ( mi rifiuto di chiamarlo film e sarebbe un’offesa definirlo documentario) si capisce quanto sia lontano dal giallo. A dirla tutta, non solo dal giallo ma anche dal thriller, dal dramma, dall'horror e da ogni genere conosciuto.

La sola nota positiva è l’interpretazione della Portman. Davvero notevole. Vale da sola il prezzo del biglietto. A dire la verità si ha il sospetto che il film sia stato costruito attorno a lei, o meglio, attorno alle sue doti interpretative per confezionare una sorta di megaspot di recitazione destinato al mondo. E visto sotto questo aspetto il tutto funzionerebbe alla grande. Il titolo dovrebbe essere: Natalie Portman: la nuova Star di Hollywood. Ad uso e consumo dei suoi fan.

Curiosità: La Portman nuda e in mutandine mentre si masturba nel letto sono due chicche da vedere.

Voto al film: 0

Interpreti: Portman da Oscar

Regia: vedi sceneggiatura

Sceneggiatura: c’è una taglia su Darren Aronofsky, Mark Heyman e John McLaughlin. Se li vedete sparategli e incassati i dollari che ci sono sulle loro teste.





lunedì 14 febbraio 2011

Divagazioni Noir a L.A.


Per KCRW, Kevin Roderick dal LA Observed.

Se Los Angeles ha un genere letterario natale, avrebbe dovuto essere noir fiction. Pensate a tutti i cinici detective, gli occhi privati e risolutori di mistero freelance che associamo con LA.
Philip Marlowe, che passa sul Wilshire Boulevard tra le insegne al neon che animano una città disperata.
Jack Nicholson nel ruolo di Jake Gittes in Chinatown, che si ritrova con il naso a fette per essersi imbattuto contro la parte sbagliata di L.A.
Harry Bosch, il personaggio di Michael Connelly, che prende in giro i suoi capi corrotti al LAPD, mentre teneramente cerca prostitute che gli ricordano sua madre assassinata.
Un sacco di losangelini sono scrittori di cuore. E si scopre che molti di loro hanno dentro di loro una storia di mistero pronta a saltar fuori.
Ero cosciente del fatto che questo fosse qualcosa di innato, ma ne ho avuto piena consapevolezza solo quando il mio collega, lo sceneggiatore Eric Estrin, ha lanciato il LA Observed Script Project, invitando il lettori a contribuire a scrivere un film noir ambientato a Los Angeles.
Poche settimane dopo il lancio del LA Observed Script Project, il Los Angeles Times ha lanciato una sorta di chiamata di lettura. Si tratta di Birds of Paradise, che si può definire una storia noir-ish.
Siamo lusingati dell’imitazione, ma ci sono alcune differenze. La nostra è una sceneggiatura che potrebbe, un giorno, diventare un film, la storia del Times è più che altro un romanzo. La loro è una breve corsa, in programma a fine settimana prossima con il Festival di libri presso la UCLA. La nostra sceneggiatura andrà avanti. Finché, come dice Eric, la storia è fatta.

Perché sai quello che si dice. Ci sono milioni di storie nella città nuda, e questa sarà una di quelle.


Traduzione dall'inglese di Sam Stoner

lunedì 31 gennaio 2011

Sam Stoner nel Mary Shelley Project



Cos'è il Mary Shelley Project? Lo saprete a tempo debito.
Per il momento, gustatevi le poesie cimiteriali, i dipinti maledetti, i racconti infernali, gli autori immortali, le leggende, le atmosfere gotiche...
Posso solo farvi una promessa, c'è la metteremo tutta per alimentare i vostri peggiori incubi.
http://www.maryshelleyproject.com/


Sam Stoner

mercoledì 26 gennaio 2011

Darling Jim di Christian Mork


In una casa la polizia trova tre cadaveri: due ragazze seviziate e sottopeso (poi si scoprirà essere due sorelle) e una più in là con gli anni, la zia-carceriera. Un impiegato postale troverà per caso il diario di una delle due sorelle che ci racconta cosa è accaduto.

Le note in copertina recitano: "Christian Mork seduce e incanta con la potenza del suo racconto" NEW YORK TIMES BOOK REVIEW
Si vede che quel giorno la redazione del NYTBR stava festeggiando con l’ennesimo bicchiere della staffa...
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venerdì 21 gennaio 2011

Estratto dalla "Biografia non autorizzata di un folle"

di Angelica C. Gherardi

Chi è Sam Stoner? Uno scrittore? Un investigatore? Un giornalista? Un avvocato? Nessuno lo sa con esattezza, ma qualsiasi cosa egli sia, dietro al sostantivo ci sta bene l’aggettivo “privato”.

A New York lo si è visto spesso con in mano un taccuino a righe e una penna a sfera con inchiostro rigorosamente blu prendere appunti davanti ad una scena di violenza urbana, davanti al tribunale penale e federale, seduto su una panca accanto a qualche arrestato di fresco per reati minori e qualche puttana dal rossetto sbavato e le calze bucate arrestata per adescamento, davanti al banco “delle accettazioni” di qualche commissariato di quart’ordine. Ma bazzica altrettanto i cimiteri nei giorni di funerale o le hall degli hotel una volta di lusso e alla moda, adesso frequentati solo da vecchie signore di un’alta borghesia che fu.

E l’ambiente dei discendenti di nobili russi fuggiti da San Pietroburgo durante la rivoluzione di ottobre non ha per lui alcun segreto. Si dice anche che custodisca gelosamente un uovo Fabergé di grande valore donatogli da un’anziana duchessa il cui nome finisce in “ova” per non si sa bene quale servizio reso. Forse le aveva tirato fuori dai guai il figlio trascinandolo fuori appena in tempo da una bisca clandestina prima che sui tavoli, accanto alle fiches, apparissero le pistole. O forse è qualcosa di molto più personale che aveva ricordato alla vecchia che una volta era stata giovane e bella.

Il fatto che Sam sia ossessionato dal blu, nell’inchiostro delle sue penne ma anche nell’abbigliamento e negli oggetti che lo circondano, non ha niente a che vedere con il colore dei suoi occhi. Alcuni raccontano che sia perché da bambino è caduto in acqua e fosse quasi affogato precipitando in un lago gelato il cui ghiaccio troppo sottile si era rotto sotto il suo peso. Prima di perdere conoscenza era stato più di un minuto immerso in quel blu profondo privo di luce, a scrutare quelli che per lui erano abissi misteriosi popolati da chissà quali personaggi mitologici. Altri invece giurano che il blu gli ricordi quell’esperienza iniziatica che aveva vissuto in un lurido motel del deserto messicano dopo aver ingerito funghi allucinogeni; durante il “viaggio”, tutto blu, Sam aveva ricevuto La rivelazione, aveva capito il senso della vita, ma tutto si era puntualmente dissolto nel nulla quando gli effetti del fungo si erano evaporati. Da allora egli cerca di ritrovare la spiegazione di tutto nel blu di cui si contorna…

Gli unici vezzi e vizi conosciuti di Sam Stoner sono le sigarette di cioccolata che mangia forse solo due volte al giorno ma che tiene, ancora con la loro cartina bianca protettiva intorno, appese alle labbra dalla mattina alla sera, e la sua bevanda preferita, l’effervescente Brioschi. Le prime se le fa arrivare direttamente dal Belgio, patria della cioccolata ma anche di suo nonno, un diamantario ebreo fuggito da Anversa nel ‘39. Quando era arrivato a New York aveva cambiato il suo nome in Stoner, “pietraio” , riprendendo a esercitare il suo mestiere, tagliando e vendendo pietre preziose; era sempre rimasto un oscuro lavorante nascosto nel retrobottega di un’altrettanto oscura gioielleria del quartiere yiddish, ma era riuscito a mandare il figlio all’università. Di questo si era poi amaramente pentito, perché suo figlio, il padre di Sam, fuori dal ghetto aveva conosciuto troppa libertà, aveva smesso di mangiare kosher, di santificare lo shabat e alla fine aveva anche sposato una goy, una ragazza cattolica di origini italiane. Da quel giorno il padre ripudiò definitivamente il figlio, e Sam non conobbe mai suo nonno, belga come le sigarette di cioccolato che mangia.

L’effervescente Brioschi invece se lo fa venire dall’Italia, retaggio di quella santa donna di sua madre, tutta bellezza, passione e carattere, i cui genitori umbri avevano lasciato la Madre Patria per costruirsi un futuro migliore in America, senza mai però imparare l’inglese e continuando a parlare in dialetto. Si installarono a Little Italy dopo essere rimasti tre mesi parcheggiati a Ellis Island insieme a tanti loro connazionali, in attesa che le autorità americane concedessero loro di sbarcare sulla terra ferma per rifarsi una vita. Col tempo, dopo aver fatto mille lavori umili, riuscirono ad aprire una piccola bottega di prodotti tipici italiani, che pian piano negli anni si era ingrandita diventando un’istituzione per i newyorkesi. Little Italy vide i natali della madre di Sam e dei suoi sette fratelli e sorelle. Ma è lei di cui i genitori vanno più orgogliosi, quella che ha studiato e si è sposata con quel bell’uomo dagli occhi azzurri; vabbé, non è cattolico, però non va più alla sinagoga, festeggia con loro il Santo Natale e ha lasciato che il piccolo Sam crescesse nel grembo della Santa Chiesa…

martedì 18 gennaio 2011

Fenomenale Roth



In L'umiliazione di Philip Roth è impossibile trovare una sola pagina capace di allentare la tensione narrativa.
Quattro capitoli. Centotredici pagine. Un protagonista: Simon Axler. Il più grande attore drammatico della sua generazione e la sua improvvisa e incomprensibile incapacità di stare su un palco.
L’incipit inchioda, segnando anima e respiro. L’ho letto tre volte prima di andare avanti. Impossibile non farlo. In quelle righe c’è la semplicità e la forza del grande talento di Roth capace di tratteggiare un protagonista che in realtà è tutti noi. Noi che nelle nostre vite abbiamo un ruolo, una parte. La nostra, quella scritta per noi, figli, padri, mariti, amanti… Ma a chiunque può capitare di smarrire il copione. Ed ecco che non siamo più in grado di restare nella parte. Perdiamo il lavoro, la famiglia gli amici, le abitudini… tutto è smarrito, estraneo. Ma Roth ci lancia un salvagente. Sì, perché un salvagente c’è sempre e quello di Simon (il protagonista) ha le sembianze di Pegeen, una docente universitaria di quarant’anni lesbica e affascinante che lui ha visto nascere e che torna nella sua vita.
Nasce una relazione ambigua e infantile dove il sesso implode e travolge, sorprende nella sua spinta eroticità. I due si nutrono l’uno dell’altra, ritrovando, così, la forza di essere se stessi, quale che sia la natura che hanno nell’animo, al punto che Pegeen diventa eterosessuale e Simon ritrova la forza per tornare a recitare. Ma Roth è imprevedibile e sfuggente e soprattutto implacabile. Nei suoi universi tutte le certezze sono destinate a crollare tragicamente.
Una nota a parte merita la donna descritta da Roth. Una donna che il grande scrittore si diverte a fare a pezzi. Non viene salvata in nessun ruolo: madre, moglie, figlia, amica, amante, etero, lesbica… La donna per Roth è la quinta essenza del fallimento completo. Tragica e comica nell’affannata e inutile ricerca di se stessa.
L’umiliazione è un vero Capolavoro.

© 2010 by Sam Stoner

L'umiliazione
Philip Roth
Einaudi
Anno 2010
114 pagine
€ 17.50
Traduzione: Mantovani V.


lunedì 17 gennaio 2011

Il padre e lo straniero al Festival del Cinema di Roma


Da sinistra, Amr Waked, Kseniya Rappoport, Ricky Tognazzi

Coppia d’eccellenza, Tognazzi-Gassman per Il padre e lo straniero presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Roma. Naturalmente si tratta dei figli, Ricky Tognazzi dietro la macchina da presa e Alessandro Gassman davanti l’obiettivo. Film complesso che nasce dall’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo. Questa volta Simona Izzo, insieme allo scrittore, ha curato la sceneggiatura.
La storia: Diego, impiegato ministeriale, è padre di un bambino disabile. Nell'istituto dove suo figlio è seguito, incontra Walid, elegante mediorientale che porta lì il suoYusuf. Tra i due padri nasce un'amicizia, un giuramento di lealtà reciproca. Walid non parla mai della sua vita, ma rivela a Diego una Roma sconosciuta e segreta, risvegliando in lui desideri sopiti di felicità. Finché non scompare. Al suo posto appare un agente dei servizi segreti, che è proprio sulle tracce di Walid. E Diego è una delle tracce. La progressiva scoperta della verità sulla vita di Walid sconvolgerà la vita di Diego, costringendolo infine a una difficilissima scelta, tra la fedeltà alle leggi dello stato e la fedeltà a qualcosa che non ha forse nome, ma che ha il suo fondamento proprio nell'essere un padre. Dopo Ultrà, La scorta e Canone inverso, un’altra storia in cui l’amicizia maschile è il motore della vicenda, e chiave di volta per risolvere i problemi esistenziali del protagonista. “Il nostro è un film - dice il regista - con un messaggio di pace, che racconta come il dolore condiviso possa davvero unire due persone e che tenta di riflettere sul pregiudizio di cosa si considera normale e cosa diverso: alla fine, credo sia palese, la diversità non può essere intesa altrimenti se non come motivo di crescita." Infatti nel film la parola “diverso” o “normale” acquista un significato di volta in volta diverso. Diverso è Walid, imprevedibile e trascinante. Diversi sono i figli di Diego e Walid. Diversa è la realtà che Diego vorrebbe vivere. Ma questo messaggio sembra un po’ perdersi nel corso della narrazione cinematografica di un film che di certo si può definire ambizioso. Del resto, la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo presentava da subito evidenti
difficoltà. Il romanzo tratta numerosi temi, troppi. E le centoquarantuno pagine non sono sufficienti a sviscerarli tutti. Figuriamoci in una riduzione cinematografica. Ma il pericolo di realizzare un film confuso, come appunto è accaduto, si sarebbe potuto evitare decidendo in sede di sceneggiatura di privilegiare un tema piuttosto che un altro. Purtroppo Simona Izzo e lo stesso De Cataldo, sceneggiatori della pellicola, hanno deciso di ficcarci dentro tutto: l’amicizia, la differenza e diffidenza culturale, la spy story, la storia d’amore, il problema della disabilità.
Temi importanti, ma che proprio perché così rilevanti hanno bisogno di un adeguato spazio per poter essere trattati come meritano. Spazio che in centodieci minuti è impossibile trovare. Non a caso, al termine della proiezione al Festival del Cinema di Roma non si sono sentiti applausi. Pareri discordi, invece, sulla performance dei protagonisti. Per alcuni sottotono travolta dalla confusione della storia, per altri, invece, unico elemento positivo ma insufficiente a salvare la mancanza di lucidità della sceneggiatura e i molti punti deboli della narrazione e dei dialoghi.
Una nota sul backstage. Parte delle riprese sono state girate all’Eur all’interno del Palazzo degli Uffici e negli esterni del Salone delle Fontane. Inconfondibili gli ambienti dell’ufficio di Diego (Alessandro Gassman), oltre che per il panorama offerto dal Parco del Ninfeo anche per una serie di particolari d’interni d’epoca. Il Palazzo degli Uffici, infatti, è il solo edificio del complesso architettonico dell’Eur completamente finito (dagli arredi alle maniglie agli infissi) con materiali e complementi d’interni del ’42.

© 2010 by Sam Stoner

Pubblicato sul periodico Eur la città nella città n° 5 -2010

venerdì 24 dicembre 2010

Natale in noir e Sam Stoner

Un grazie ad Alessandra Buccheri e Paolo Gardinali, curatori dell'antologia Natale in Noir per aver selezionato il mio racconto "Suicidio e resurrezione" insieme ai racconti di Vito Bollettino, Sandrone Dazieri, Romano De Marco, Gianfranco Ferrari, Ida Ferrari. Paolo Franchini, Angelo Marenzana, Frank Gordon, Marco Vichi.
L'antologia si può acquistare su Lulu.com.



mercoledì 1 dicembre 2010

A Conversation with Stephen King

Stephen King in una chat live parlerà del suo nuovo libro, FULL DARK, NO STARS. Sintonizzati Mercoledì 8 dicembre 2010 - 19:00 PST EST/4pm.
Join bestselling author Stephen King in a live chat about his new book, FULL DARK, NO STARS. Tune in Wednesday, December 8th, 2010 - 7pm EST/4pm PST.


Se vuoi che Stephen King risponda a una tua domanda , inviala a:
scribner.books@simonandschuster.com
If you have a question you would like Stephen King to answer during the chat, please send it to: scribner.books@simonandschuster.com

domenica 28 novembre 2010

NEW YORK - Itinerari di viaggio di Sam Stoner



















New York.
La città più rappresentata al cinema.
La più amata e la più odiata. Simbolo del consumismo e del sogno americano.
Almeno una volta nella vita, tutti abbiamo manifestato il desiderio di visitarla. Per capire, per stupirci, per vedere dove nasce ogni fenomeno sociale, modaiolo, musicale, politico, artistico.
La New York della quale vi parlerò è quella nascosta, fuori dalle guide ufficiali, ma anche quella più vicina al cuore della Grande Mela. Una New York complice, ruffiana, ammiccante, una donna che sa di essere bella e che non ha bisogno di ostentare la sua bellezza. Bellezza che poche settimana fa, si è arricchita di un prezioso cameo:
Eataly, oltre 6.000 metri quadrati dedicati all’eccellenza enogastronomica italiana sul tetto del Toy Building, un palazzo fine Ottocento di fronte all’iconico grattacielo Flatiron, nel cuore di Manhattan, all’angolo tra Quinta a 23esima. Qui gli americani possono finalmente mangiare i veri spaghetti al pomodoro, fatti con i pelati San Marzano, pochissimo aglio e zero cipolla. Un piatto di pasta costerà sui 12 dollari, un'orata alla griglia 18, una caprese – con la mozzarella fatta "dal vivo", sotto il naso degli avventori – a partire da 9 dollari. La pasticceria è un viaggio nei dolci regionali, descritti nella cartina italiana sulla parete: si va dai sospiri pugliesi ai cannoli siciliani, dal tiramisù piemontese alla pastiera campana. «Non vogliamo che si venga qui per mangiare e basta», spiega lo chef Batali, «ma che si venga, si assaggi e poi si faccia la spesa». Gli scaffali, infatti, sono pieni dei prodotti italiani di qualità (la pasta di Gragnano, le pastiglie Leone, il cioccolato Venchi e Novi, le marmellate, i biscotti, l'olio extravergine, i vini ecc.), con il pane cotto in giornata.
In caso di spesa, vi consiglio di munirvi di un folding shopping cart, un orribile, fuori moda e utilissimo carrello pieghevole (costo 25 dollari). A New York si usa poco l’auto e, a parte lo Store di Eataly, nei supermercati le confezioni sono giganti. Tanto per fare un esempio, l’acqua si vende in contenitori da 1 gallone e cioè da 5 litri. Senza lo shopping cart mettete a rischio la schiena, per non parlare del vostro look, sciolto sotto al sudore.
Per chi, come me, fosse un amante del Brownie (non me ne vorrà l’amato Tiramisù), c’è una tappa obbligata: il Chelsea Market, il grande mercato di lusso dove si trova la Fat Witch Bakery, che vende solo Brownies. Il brownie normale costa $2.85, ma c’è un trucco per risparmiare, basta chiedere di avere il vostro Brownie, “unwrapped” ossia non confezionato. Sempre che lo divoriate appena usciti dal negozio. In questo modo potete comprare il brownie normale a solo $1.50. Oppure potete darci dentro con gli assaggini gratuiti che sono vicino alla cassa. Non siamo in Italia, nessuno vi riprenderà perché ne avete ingurgitati 6 o più. Fidatevi.
Gli amanti del musical non potranno perdere l’evento della stagione “Spider-Man, Turn Off The Dark” in scena a Broadway, al Foxwoods Theatre, da metà novembre. Testo e musiche di Bono e The Edge degli U2. Affrettatevi a comprare i biglietti, si preannuncia il tutto esaurito.
Mentre chi predilige i classici non potrà mancare l’appuntamento al Broadhurst Theatre con il dramma shakespeariano Il mercante di Venezia che avrà come protagonista il leggendario e ancora affascinante, udite-udite, Al Pacino. L'attore interpreterà solo 78 performance dal 19 ottobre al 9 gennaio 2011. Da pochi giorni il teatro ha iniziato la prevendita dei biglietti al prezzo di 149 euro.
Per chi desiderasse passare una sera romantica o con amici con musica dal vivo, tappa obbligatoria è il Bar-Ristorante di Jason Stevens (l’uomo che ha rifiutato il posto da vice presidente della Merryl Lynch per dedicarsi al settore della ristorazione) situato al 147 Front Street. Time Out New York, lo ha definito il santuario dell'arte del mangiare e bere, arricchito da un vero cameo, il reRun Theatre. Si tratta di una sala cinematografica dove le classiche poltroncine sono sostituite con 60 sedili posteriori recuperati da mini van abbandonati. Una sorta di drive-in, ma senza auto, all'interno di un locale che ricorda l'esterno di un edificio, con mattoni e graffiti. Qui si può assistere a film di culto e indipendenti che non troverebbero spazio in altri teatri newyorkesi.
Se non potete fare a meno di acquistare t-shirt il vostro “paradiso” si trova al quartiere NoLita, al 227 di Mulberry Street, dove da poco ha aperto "Scout Vintage T-shirts", un negozio interamente dedicato alle t-shirt vintage. Ce ne sono a migliaia, tutte divise per colore, da quelle sportive a quelle souvenir fino a quelle rarissime dei concerti degli anni '70. Memorie d'altri tempi, per collezionisti e curiosi.
Non poteva mancare l’arte, in questo caso la fotografia con il maestro Lee Friedlander, al Whitney Museum (www.whitney.org) con la mostra “America By Car”, che attraverso i suoi scatti ci guida, come ha scritto Karen Rosemberg sul New York Times, attraverso le ossessioni e le eccentricità degli Stati Uniti all'inizio del ventunesimo secolo utilizzando gli specchietti laterali, lo specchio retrovisore, il parabrezza e i finestrini come cornici entro le quali immortalare i riflessi di bar lungo la strada: motel, chiese, monumenti, ponti sospesi, essenziali paesaggi americani, e spesso, anche la sua stessa immagine. La mostra chiuderà il 28 novembre 2010.

Pubblicato sul periodico Eur la città nella città n° 4 -2010

© 2010 by Sam Stoner