venerdì 3 agosto 2012

RECENSIONI: John Fante | Chiedi alla polvere


"Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d'albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell'albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce a andandomene a letto."



Non scriverò di Chiedi alla polvere.
Perché nessuno deve convincersi di leggere FANTE.
Io ho impiegato anni per leggerlo.
Sapete il perché?
È stato a causa di quegli sciatti e volgari scribacchini che imbrattano la quarta di copertina delle sue opere.
Parole dannose, le loro.
John Fante
Parole buone solo per teste stanche e vuote, non per me, per la mia fulgida intelligenza e per la mia sensibilità delicata. La loro prosa arida e vuota è incapace di cogliere l’essenza della scrittura di Fante.
Anzi, è incapace di cogliere l’essenza di qualsiasi scrittura.
Come posso arrogarmi il diritto di dirvi come scrive Fante o cosa scrive? Che senso avrebbe? Il solo consiglio che posso darvi è di andare in una libreria, prendere un romanzo di Fante, aprire a caso su una pagina e leggere. Forse vi piacerà, forse lo troverete supponente pazzo e violento. Forse lo troverete inutile. Forse vi sconvolgerà. Solo così potrete capire.
Riguardo me, posso dirvi che mi ha conquistato. È passione, è amore, è delicatezza, è fulgore, è poesia. È una scrittura che nessuno potrà mai possedere ma solo desiderare.
Si potrà amare, segretamente, nel silenzio delle polverose scale di Bunker Hill.




8 aprile 1909 - John Fante nasce a Denver, Colorado da una famiglia di immigrati italiani

1932 - si trasferisce a Los Angeles Viene pubblicato un suo racconto su The American Mercury.
1937 - John sposa Joyce Smart, da cui avrà quattro figli.
1938 - Wait until spring, Bandini
1939 - Ask the Dust
1940 - Dago Red, una raccolta di racconti.
1952 - Full of Life
1956 – La Columbia Pictures acquista i diritti per fare un film da Full of Life. Fante può lavorare (per la prima e unica volta) a una sceneggiatura tratta da un suo libro. Il film avrà la regia di Richard Quine. I protagonisti saranno Judy Holliday (premio Oscar 1950), Richard Conte e per la prima volta sullo schermo Salvatore Boccaloni, stella del Metropolitan Opera. La sceneggiatura ottenne la candidatura come miglior commedia dalla Writers Guild of America.
1957 - E' in Italia e lavora come sceneggiatore insieme a Richard Quine per la sceneggiatura di un film, The Roses, il cui ruolo protagonista la Columbia vuole affidare a Jack Lemmon. Risiede a Napoli (nel lussuoso Hotel Vesuvio) per sette settimane. Ma il film non vedrà mai la luce.
1960 – Accetta, dopo tanta insistenza da parte del produttore italiano, un contratto con Dino De Laurentiis. Rimane oltre due mesi nella Roma della Dolce vita e delle Olimpiadi. La sceneggiatura diventa un film dal titolo (italiano) Il re di Poggioreale. La regia è dell’abruzzese Duilio Coletti. Il protagonista è Ernest Borgnine.
1977 – The Brotherhood of Grape, l’ultimo romanzo scritto da Fante
1979 – Dreams from Bunker Hill, il suo ultimo libro  che uscirà solo nel gennaio 1982.

giovedì 19 luglio 2012

RECENSIONI: Geroges Simenon | La neve era sporca


Questa recensione non vuole essere un oggettivo e distaccato giudizio sull’opera in questione, esprime solo il mio personale punto di vista sulla stessa.


Come sempre, i “critici”, quelli ufficiali, non capiscono un cazzo.
Questo è il mio primo Simenon.
Perché non ne ho mai letto uno? Semplice, amo la letteratura anglosassone e non mi fido molto dei cugini francesi. Lessi un Vargas, tempo fa. Roba buona per ragazzini delle elementari. La mia esperienza francese morì con Fred. Poi un giorno lessi una recensione di questo romanzo firmata dallo scrittore Marco Proietti Mancini. Uomo di grande sensibilità. In realtà mi fermai al primo paragrafo. Fu sufficiente per decidere di leggere “La neve era sporca” e non volevo farmi influenzare dalla recensione.
Così, andai in biblioteca. Sembrava mi stesse aspettando. Lo avevano letto solo in tre. Era praticamente nuovo.
Lessi la quarta di copertina. Mi puzzò. Non mi piacciono i romanzi di guerra, figuriamoci l’occupazione nazista. L’autore della quarta, ci aveva infilato pure un bel “una città dove tutto è tradimento e doppiogioco”. Se fossi il signor Adelphi gli avrei dato un calcio nelle palle. Peccato che non si sappia chi sia questo idiota. Sì, perché in questo romanzo l’occupazione nazista e il doppiogioco non centrano un beneamato cazzo.
Questo però, si sa solo alla fine. Dopo averlo letto.
La prima pagina del romanzo è scritta da schifo. L’ho dovuta leggere almeno tre volte per capirci qualcosa. Tre nomi che si intrecciano tra loro confondendo le idee. Ok, sono i protagonisti, ma posso assicurarvi che si poteva fare di meglio. Malgrado la quarta di copertina e l’incipit, vado avanti.
La storia comincia a delinearsi.
Dentro c’è Dostoevskij, “Delitto e castigo” e “Memorie dal sottosuolo”, per l’esattezza.
E poi c’è Orwell con il suo capolavoro “1984”.
C’è la colpa, il peccato, l’assassinio, la discesa negli inferi del protagonista, i suoi pensieri, l’essere carnefice e vittima, succube del suo malessere marcescente, c’è il rifiuto dell’amore, un rifiuto violento, spregevole. C’è il grande occhio, colui che tutto conosce e sa. Ci sono uomini senza volto pronti a prelevarci dal letto per segregarci in anonime e disperate celle. E cosa è tutto questo se non la nostra coscienza che si ribella alle nostre azioni? Tutto è simbolico in “La neve era sporca”. I nazisti, di cui parla l’idiota in quarta di copertina non esistono. L’occupazione, la guerra, tutte baggianate inventate dalla povera mente di un inetto.
C’è invece il terrore di essere presi in qualsiasi momento da qualcuno che ci osserva, che conosce ogni nostra azione e forse anche i nostri pensieri.

Non vi parlerò della storia.
Vi dirò solo che si tratta della disperata ricerca di se stessi. Una ricerca che a volte può assumere toni drammatici e tragici. Lacerazione pura della propria coscienza e della morale.
Simenon ha fatto uno straordinario lavoro. Ha permeato di sensibilità francese il mio amato Raskol nikov inserendolo in un contesto dove i ruoli di ognuno vengono alla fine completamente ribaltati, la primegenea e nera versione di Truman Show.
Si può parlare di capolavoro. Ma non è un Noir, e nemmeno un giallo, tanto meno una spy story oppure un thriller.
È un dramma introspettivo. Dei migliori.
Per chi scrive: una lezione su come rendere il flusso di coscienza e su come costruire un personaggio attraverso le sue azioni e le sue parole. Senza raccontare nulla, lasciando parlare la sua vita.
Da leggere. Assolutamente.



.Mi permetto di citare le parole di Marco Proietti Mancini a proposito del romanzo di Simenon. Parole che mi hanno indotto alla lettura.
"Semplicemente IMMENSO.
Eppure, ve lo giuro, diverso da qualsiasi altro Simenon letto prima, ed io ne ho letti almeno una settantina (ho perso il conto). Di Simenon non c'è nulla, nulla che non mi sia piaciuto, qualcuno dei suoi libri mi è piaciuto moltissimo. Ma questo nella sua dolorosa crudezza, nel cinismo e nella fredda descrizione della malvagità, senza nessun orpello, senza nessun bisogno di arricchirla, è sconvolgentemente bello.
La casualità del male, il male peggiore, non il male del diavolo, ma il male dell'uomo qualsiasi."
(2012 by Marco Proietti Mancini)



La neve era sporca
Autore Simenon Georges
Prezzo € 10.00
Anno 2004,
pagine 266
brossura, 2 ed.
Traduttore Visetti M.
Editore Adelphi (collana Gli Adelphi)

mercoledì 13 giugno 2012

Booktrailer per ITALIAN NOIR


Fabrizio Cennamo, uno degli autori di “Italian Noir”, ha realizzato un booktrailer dell’antologia, in cui fa un omaggio a tutti coloro che hanno partecipato con i loro racconti, come appunto il sottoscritto.

giovedì 26 aprile 2012

RECENSIONI: Marcela Serrano | Nostra signora della solitudine




La quarta di copertina recita:
Storia di due donne profondamente diverse ma unite da una linea sottile che le lega nel dolore, nella speranza e nella solidarietà.

La storia.
Nel caldo torrido dell'estate cilena,Carmen Lewis Avila, scrittrice di grande successo, scompare. La polizia archivia il caso ma Rosa Alvallay, investigatrice privata, ottiene l'incarico di ritrovarla.

I presupposti per intrigare con un giallo al femminile ci sono tutti. Ma vengono ben presto disattesi.
Si sente un tale livore nelle parole di Rosa riguardo i vari personaggi che interroga, tale da rendere la lettura, in alcuni passaggi, irritante.
Non importa che Rosa si imbatta in donne o uomini, in familiari o amiche, tutti sono disprezzati. Ognuno di loro presenta caratteristiche diverse ma negative.
Tuttavia, il solo, vero personaggio negativo è C.L.Avila, la scrittrice scomparsa, la sola che la Serrano giustifica ed esalta, fino a considerarla un modello di donna.
Arrivato in prossimità di pag 100 continuo a chiedermi perché Marcela Serrano riscuota tanti favori dal pubblico femminile. Certo, è una donna e donne sono le protagoniste del suo romanzo, ma non basta questo.
Finalmente scopro il perché.

Primo trucchetto
La Serrano ricorre ad un abile trucchetto, trucchetto al quale uno scrittore non dovrebbe mai ricorrere.
A pagina 97 la Serrano scrive, riguardo la protagonista: “ Ma ora ecco qualche mia caratteristica…” E nelle successive tre pagine descrive una donna comune nell’aspetto, anzi un po’ in carne, che non riesce a dimagrire malgrado i buoni propositi, parla di aspirazioni fallite, della propria malinconia, di un marito ingombrante, dell’impossibilità reale per una donna di essere totalmente indipendente e così via.
Chiude con un colpo da maestra. “Devo mettermi nei panni di C.L. Avila perché malgrado le differenze anche lei è una donna obbligata a sottomettersi”. Sottomettersi a chi e come e quando non si sa, almeno non c’è scritto nel romanzo.
Guardate quanti temi cari alle donne. Chiaro che la leggeranno. Tre pagine zeppe di cliché nei quali ognuna troverà elementi nei quali identificarsi, tanto più che sono riportati in modo così generalizzato.
Un vero scrittore avrebbe dovuto far emergere queste caratteristiche nella protagonista, lentamente, mostrando in che modo il marito è ingombrante, perché lei è malinconica, per quale motivo lei non riesce ad essere totalmente indipendente e perché questa mancanza di indipendenza sia legata all’essere donna.
Un processo di identificazione con la protagonista che deve maturare lentamente, pagina dopo pagina.
Invece no, la Serrano elenca queste caratteristiche come se stesse facendo la lista della spesa. Troppo facile.

Secondo trucchetto.
La Serrano ci dice che la donna scomparsa, C.L. Avila, soffre di depressione. Tutti noi soffriamo di depressione, prima o poi. Solo che qui è diverso, perché C.L. Avila è una stronza di prima categoria e il solo modo che la Serrano ha di renderla simpatica è il compatimento, che raggiunge il suo climax nelle ultime pagine. Dopo aver abbandonato il figlio per girare l’India alla ricerca di se stessa per lenire il dolore dell’abbandono dei propri genitori, e quindi dopo averci detto che ha seri disturbi mentali che la portano ad abbandonare a sua volta il figlio, ecco arrivare il trucchetto.
La protagonista viene violentata da un gruppo di uomini.
Il lettore non ha così il tempo di pensare. C’è spazio solo per il compatimento.
Questo mi fa pensare che il personaggio della scrittrice di gialli sud americana C.L. Avila sia in realtà proprio lei, la Serrano. Solo così si giustifica il continuo proposito di perdonarsi,
Il tutto dà l’idea di un camino volto a cercare l’indulgenza, se non il perdono, da parte del lettore, e di se stessa.
Tutte le azioni compiute, l’aver sposato un uomo che non ama solo perché le garantisce sicurezza per poi abbandonarlo, l’aver lasciato il figlio per cercare se stessa in oriente, usare il denaro della famiglia del marito e nel contempo disprezzarlo, il suo isolamento, gli scatti d’ira ingiustificati, tutto questo tratteggiano una donna profondamente egoista e anaffettiva che però la Serrano fa assurgere a simbolo del riscatto sociale della donna. Ma quale donna? Di certo non delle madri, delle mogli, delle compagne, delle amiche, delle donne di cuore, delle professioniste, ossia di tutte quelle donne che nulla hanno a che fare con la protagonista.
Il romanzo avrebbe dovuto avere un titolo diverso "Amore, questo sconosciuto". Non solo l’amore nei confronti di un partner ma amore per la vita.
Romanzo vuoto, con una protagonista femminile bidimensionale (l'investigatrice) e un mistero che altro non è se non il mancato tentativo di riscattare una figura femminile pessima, isterica, egoista e desolata.


Titolo: Nostra Signora della Solitudine
Titolo originale: Nuestra Senora de la Soledad
Autrice: Marcela Serrano
Genere: Giallo
Editore: Feltrinelli – I Narratori
Prezzo: € 12,91
Pagine185
Traduzionee Michela Finassi Parolo

mercoledì 14 marzo 2012

Una vittima ogni tre giorni.


Una vittima ogni tre giorni. Queste sono le cifre di una guerra che si consuma tra le mura di casa: quella della violenza domestica.

Lo scorso anno, 142 donne sono morte per mano del proprio marito, compagno o ex compagno. L’uomo che un giorno ad ognuna di loro aveva detto “ti amo”. E che le ha uccise non potendo sopportare l’abbandono, la separazione e il rifiuto.
Il tutto nell’indifferenza di magistratura e forze dell’ordine. Il cui intervento avviene sempre e solo dopo che la richiesta di aiuto si è trasformata in una bara. E nell'indifferenza di vcini e familiari. Mentre parlerei di connivenza per i familiari dello schifoso bastrado.
Una donna devastata dalla violenza del figlio di puttana di turno. Del resto si sa che scivolando in bagno ci si frattura una gamba , un braccio, la mascella, lo zigomo e si hanno ecchimosi su tutto il corpo. Chissà… mi viene di pensare che il medico che ha soccorso questa vittima fosse uomo. Come gli uomini togati sempre “morbidi” con chi si diletta a passare il proprio tempo a massacrare di botte la “povera stronza” che gli capita sottomano.
Ragazzi potete fare come vi pare con la donna che avete al vostro fianco perché la legge vi tutela, la polizia scrolla le spalle per intervenire ci deve essere stato un reato…, gli assistenti sociali latitano, e se per caso si arriva in un tribunale senza cadavare non si può procedere a nessuna accusa. E poi chi dice che sia stata picchiata? Seviziata? Che venga umiliata e stuprata psicologicamente? Eh no, non si può provare.
Giudice: “Scusi signor “pezzodimerda” del disturbo arrecatogli. E lei signora la faccia finita di rompere i coglioni alle istituzioni, hanno cose ben più importanti a cui pensare.”
Una bella stretta di mano e, come ovvio, un calcio alla milza alla poveretta giusto prima di cena. Tanto per ricordarle che non conta niente.
L’unica via di scampo è il suicidio. Però, pensandoci bene potreste fare altro care amiche: riscaldare olio di semi di girasole e poco prima che bruci la padella versarlo addosso al bastardo che dorme in camera da letto. Oppure potreste procurargli un bel trauma cranico usando il mattarello. Da dietro, mentre guarda la tv e si sta appisolando.
E’ chiaro che qualcuno (maschio) potrebbe dire che sto istigando a commettere reati. No, sto impedendo che un bastardo commetta l’ennesimo omicidio impunito. Ma questa non è una buona scusa, lo so bene. Infatti in Italia la violenza domestica è commessa solo dalle donne, quelle perpetrata dagli uomini…non esiste. E’ pura fantasia popolare.
Ehi tu,cazzone! Mi fai schifo. Sì, tu che abitualmente prendi a schiaffi la tua compagna. Quanto vorrei prendere quella mano e schiaffartela su per il culo!!!

Sam T Stoner

http://www.nondasola.it/
http://www.zeroviolenzadonne.it/
http://www.centriantiviolenza.eu/
http://www.fioccobianco.it/
www.carabinieri.it/Internet/Cittadino/Consi...

mercoledì 22 febbraio 2012

SAM STONER VINCE IL CONCORSO CORPIFREDDI 2012


Minchia sono primo a pari merito!
Le prime parole che ho pronunciato quando ho visto la classifica. E sì. perché gli 11 vincitori sono stati selezionati su oltre 150 partecipanti.
Me l'aspettavo? Diciamo che in me c'era solo il desiderio di strappare qualche risata a chi avrebbe letto la mia storia. Sì, perché pur essendoci molti morti e molto sangue, si ride. Qui è il bello. A quanto pare il meccanismo ha funzionato. Ora dovete leggerlo voi.
E anche se non è bello ridere in faccia a un morto, a volte non se ne può fare a meno.

I VINCITORI


1 - Simone Togneri - Altrove *
1 - Sam Stoner - Elvis Rosso Sangue *
2 - Riccardo Carli Ballola - Cenere alla cenere **
2 - Paolo Bartolozzi - Un racconto davvero orribile **
5 - Rudy Salvagnini - Pactum Sceleris
6 - Luca Rinarelli - H ***
7 - Federico Pergolini - Cacciatori e prede ***
8 - Fabio Giofrè - La realtà sopra le cose ***
9 - Damiano Celestini - Rock the Casbah ***
10 - Antonino Fazio - Lavoro notturno ***
11 - Afra Tresoldi - Body ***

I PREMI
- Per gli 11 selezionati, contratto di pubblicazione su piattaforma telematica in formato ebook-serial e distribuzione sul mercato tedesco, svizzero e austriaco, con 20% netto sulle vendite;
- Ai primi 3 classificati, suddivisione dei libri messi a disposizione dalle Case Editrici sponsor;
- Tra tutti coloro che hanno inviato i manoscritti, assegnazione ad uno dei racconti in concorso della trasposizione in cortometraggio ad opera della Casa di Produzione Laboratoia.

RINGRAZIAMENTI
Alla redazione di Corpifreddi che nel selezionare 150  racconti da 50 mila battute ognuno avrà sicuramente lasciato sul campo qualche cadavere.
Alla Chichili Agency e inarrestabile Roberta Gregorio.
A Peppe, Dario e Isacco della casa di produzione filmica Laboratoia che darà vita alle parole di uno dei racconti tra quelli inviati in Redazione.
Alle Case Editrici, che hanno sponsorizzato l'evento Fazi, Polillo, Elliot, Giano, Baldini Castoldi Dalai, Garzanti, Edizioni XII.

BLOG CORPIFREDDI
SITO CHICHILI AGENCY ITALIA

venerdì 17 febbraio 2012

MARY SHELLEY PROJECT MAGAZINE - LA RIVISTA



Mary Shelley.
Tutto inizia dalla passione e la follia di tre scrittori, Violet Blunt, Sam Stoner, Cornelia van de Kamp. Passione per l’horror letterario. E non.
Il terrore, quello vero, nasce nella testa degli artisti. Loro, con la follia che li contraddistingue, riescono a scavare nelle paure più profonde dell’uomo. Gli basta una penna e un foglio di carta, o una tela ed dei colori o ancora una pietra da scolpire o una lastra da incidere.
Ed ecco nascere Mary Shelley Project Magazine.
Lei, Mary Shelley. Una donna capace di creare un’icona horror senza uguali. Una donna, perché MSP è femmina. La redazione, infatti, è composta quasi interamente da donne.
Oltre i già citati Sam Stoner, Violet Blunt e Cornelia van de Kamp, la redazione di questo numero zero si compone di Cinzia Giorgio, Arthur Lombardozzi, Rosanna Mele, Paola Pegolo, Marco Proietti Mancini e Carmen Verde.
Ci siamo posti una domanda: Se Mary Sheley fosse il nostro editore cosa ci chiederebbe?
Ed ecco prendere forma una rivista di 50 pagine che vede proprio Mary Shelley protagonista nell’articolo di apertura Intervista dall’oltretomba di Violet Blunt seguita da un artico lodi presentazione di Clara Reeve e dall’intervista di Cinzia Giorgio a un’altra donna, Loredana Rotundo, agente letterario. Poi le opere folli di H. Bosch nello straordinario saggio di Rosanna Mele L’estetica dell’inquietudine, e le funeree digressioni nel mondo di morti tanto care a Cornelia van de Kamp con la rubrica Cimiteri e dintorni. Inconsueta la lettura del Don Giovanni da parte di Cornelia e Carmen Verde in Leçons de Ténèbres , opera nata, come scrisse Goethe, “dal genio demoniaco di Mozart”.
Non mancano le recensioni di classici horror e di nuove proposte e una recensione più approfondita dedicata a Danilo Arona ad opera di Marco Proietti Mancini. Il gotico, oltre ad essere macabro, è anche vezzoso. Ce lo ricorda Paola Pegolo nella rubrica il Prezioso e il Sublime. Le incisioni con una grande opera di Niccolò Pizzorno. Anche cinema, con il critico Arthur Lombardozzi e la sua incursione nel cinema horror italiano di Pupi Avati, con il quale sono cresciuti i “grandi” maestri americani contemporanei. Una sbirciatina nelle serie tv americane fantasy-horror con American Horror Story e Once upon a time e per finire qualche cazzeggio con arredi gotici che farebbero eccitare anche il sofisticato Conte Vlad.
Il tutto, incastonato in una grafica potente e ricercata coma mai nessun magazine di genere, italiano e non, ha avuto.
Molti gli argomenti che non abbiamo potuto inserire per motivi di tempo e che faranno il loro ingresso nel prossimo numero.
Il numero ZERO è pronto per dischiudere il suo oscuro mondo.
Non vi resta che scoprirlo.

pagina Facebook Mary Shelley Project
blog http://www.maryshelleyproject.com/
SCRIBD

lunedì 23 gennaio 2012

CHI E' SAM: Saudade

SexyTex - 2012 by Barbara Marin

di Barbara Marin

Questa é l'ultima cosa che scrivo, che faccio, che dico di Lui.
È che ne ho scritte, fatte e dette tante, non ricordo nemmeno la prima.
La prima volta con Sam, Sam Stoner.
Quando l'ho conosciuto mi disse che faceva lo scrittore, una presentazione piuttosto autorevole che incuriosirebbe anche le antenate di quella stronza di Eva.
Io - femmina, bianca, etnia europea, non appartenente alla categoria donne a basso mantenimento, fui colpita ferocemente sopra ogni altra cosa dal fatto che un tizio che scriveva così tanto parlasse così poco.
Lui é la sindone del silenzio. Il silenzio intelligente. Sì, perché Sam parla pochissimo. Sam scrive moltissimo ma parla pochissimo e quando parla non dice cose a caso - sarà perché tacendo ha tempo per pensare.


Sam Stoner
 Chi é Sam Stoner?
Anche io voglio dire la mia.
Ho spesso - in maniera del tutto ironica e provocatoria- affermato che Sam non é uno scrittore. Sam Stoner non sa scrivere- non sa scrivere e basta, intendo. Lui é un creatore di parole immaginifiche e di immagini parlanti. Lui é un regista, uno sceneggiatore, Lui le cose non le racconta, Lui le cose te le sbatte in faccia con sporchi, imbrattati, sarcastici ma casti turpiloqui. Leggere Sam Stoner é come aprire una porta ad un'opportunità: quella di vivere una storia. Quella storia. Sentirla completamente, fino all'orlo dell'ipofisi. Ricordo che leggendo uno dei racconti di cui talvolta avevo il privilegio di avere un'anteprima, sentii l'odore di un ospedale, i rumori degli strumenti in una sala operatoria, i rottami di un'auto graffiare l'asfalto, il dolore di un coltello sulla pelle, vidi un uccello volare, un libro chiudersi sbuffando polvere, un uomo morire sul marciapiede illuminato solo dalla luce di un lampione.


Sam Stoner é noir, é red, é rock, é hip hop.
Sam Stoner é un grazioso biondo personaggio che incarna fisicamente il sogno delle madri madre di ogni vergine del pianeta in età da matrimonio e dentro, un ideatore di drammi e patologie, crimini inimmaginabili. Conoscerlo é un'esperienza unica. Irripetibile.
Essere suo interlocutore poi, davanti alla bottiglia di acqua salutista da buon bevitore di non gassata, é come mettersi in discussione e cercare nell'ascolto, negli sguardi, nei gesti, i sottotitoli per capirlo. Mistero e incomprensione. Elegante mistero. Elegante incomprensione. Seduto sulla mia sedia dal primo al dessert, brusio di plurali che si declinano come aggettivi immaginari, immobile mi ha scossa più volte e mi son sentita una foglia, una vela tramortita dal Maestrale, un pezzo di carta su cui farmi scrivere sopra.
Non so se lo incontrerò mai più, Sam, Sam Stoner - le sue parole da un po' mi voltano le spalle - forse perché mi hanno già detto tutto ed ora ho finito le domande. C'é un magnifico termine nella lingua portoghese [sawˈdadʒi] - la saudade- una specie di ricordo nostalgico, affettivo di un bene speciale che è assente, accompagnato da un desiderio di riviverlo o di possederlo. In molti casi una dimensione quasi mistica, come accettazione del passato e fede nel futuro.

Il titolo di questa recensione a Stoner é proprio Saudade.
Tra i più inconsueti e lontani dal mondo noir e apparentemente da Lui. Ma non é così, ma a pensarci, a rileggere, troverete anche voi la spiegazione di quella parola incastonata in queste righe, come un diamante che vorrei Lui custodisse.
Non so se incontrerò mai più Sam, Sam Stoner, il più pericoloso scrittore vivente, il mite uomo miccia che inaspettatamente ti fa saltare in aria, gli basta un avverbio e deflagri insieme ai tavolini di un bar.
Le uniche esplosioni che posso permettermi sono quelle di gioia, quelle che sono certa mi prenderanno alla gola, quando finalmente, dopo una serie di incompetenti, stupidi, ignoranti editori, arriverà quello che capirà qualcosa di scrittura e lo sbatterà in copertina e sugli scaffali di una libreria di quelle fighe, a sei piani. A Sam piaceranno entrambe le cose, essere sbattuto e soggiornare in libreria.

Buona fortuna scrittore, una fortuna sfacciata come le tue chiuse meravigliosamente irriverenti. E' così che ti cito per salutare i tuoi fan. Questo é Sam, quello che io ho conosciuto, Sam, Sam Stoner. E ora che avete letto, "levatevi dai piedi" [cit.]

UP (e ci siamo capiti)
Barbara Marin


SEXYTEX - 2012 by Barbara Marin

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martedì 10 gennaio 2012

Un "Bonsai" decisamente Noir



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Bonsai. La mia prima pubblicazione. Un grazie speciale a Cinzia Giorgio (nella cinquina dei finalisti al Tedeschi 2011), la sola a credere nella scrittura di uno sconosciuto, con le suole sporche di ego e le mani intrise di inchiostro e Hard Boiled. Ne sono passate di parole nel mio pc da quel lontano 2008. Come molti sono stati i consigli di Cinzia, oggi cara amica. 
Questi tre racconti - La stanza,  Una morte mancata, Sei fuoristrada - sono tosti. Mi piacciono. Mi ricordano di essere sempre duro nella scrittura, senza sconti e buonismi.

La stanza.
Racconto ispirato a una donna, quel fottuto angelo che mi ha rubato il sogno d’amore. Ma anche un racconto che parla di rapporti, dell’illusione dell’amore che la donna si porta nel cuore e che, a un certo punto della vita, attribuisce al primo romantico “sfila-mutande” che gli capita davanti. Non che tutti che gli uomini siano degli “sfila-mutande”. Spero.
Atmosfere noir anni ’30. Personaggi cesellati. Trama non propriamente plausibile, ma quello che mi premeva rappresentare erano alcuni meccanismi emotivi e la follia che ne può scaturire. Una follia blues.

Una morte mancata
Vi stanno sulle palle gli extra comunitari? Fate uscire il razzista che è in voi, altrimenti creperete. Sì, perché in questo racconto sono gli extracomunitari incazzati con gli italiani, pronti ad ammazzarli solo per scaricare la propria aggressività. Dite che gli “extra” non sono aggressivi? Io lo sarei se dovessi starmene tutto il giorno con il culo al freddo a lavare parabrezza incassando parolacce. Voi, no?

Sei fuoristrada
Quando i rapporti tra moglie e marito si esasperano non si sa cosa può accadere. In Italia il 14% delle donne subisce violenza domestica, ma il 93 % delle donne colpite non denuncia l’aggressione. Ho voluto dare un’occhiata in una di queste case per vedere cosa accade. E quello che ho visto, proprio non mi è piaciuto…
© 2012 by Sam Stoner


Titolo: Bonsai. Vivaio di talenti. Racconti tratti da un'esperienza di scrittura creativa

Autori Vari
A cura di Cinzia Giorgio
Prezzo: € 13,00
Anno 2008,
Pagine: 162
Rilegato
Editore: UNI Service

sabato 7 gennaio 2012

Sam Stoner Blog

REVIEWS: Richard Matheson | Io sono leggenda


di Sam Stoner

“Robert Neville. L’ultimo umano sopravvissuto, in un mondo popolato di vampiri.”

Da questa manciata di parole nasce il romanzo.
Matheson avrebbe potuto seguire molte strade, le più immediate sono due: quella splatter e quella d’azione; ma lui, scrittore del “non detto”, “dell’angoscia”, non ha neanche considerato queste possibilità. Doveva trovare un’altra chiave. Ed è riuscito a trovarla. Ma non è ha voluto svilupparla, sviscerarla, lavorarla di cesello. C’è e basta.
Per questo Io sono leggenda non mi è piaciuto.
Molto si è scritto su questo romanzo. Avevo l’assoluta certezza di leggere un assoluto capolavoro.
Per molti lo è, forse per tutti.
Non so se lo sia, ma una cosa la so: a me non è piaciuto.

Richard Matheson
Vediamo il perché.
Mi sono approcciato a Matheson come al padre di una narrativa fantastica che spazia dall’horror, al paranormale, alla fantascienza, al thriller. Autore eclettico e geniale. Quindi non mi aspettavo di leggere un romanzo sui vampiri, ma un romanzo che offrisse spunti diversi come la rilettura del tema dell’alienazione, della lotta tra il bene e il male, della elaborazione di una nuova società fondata su principi etici e morali inimmaginabili.
Temi presenti, questi elencati, ma non sviluppati.
È come se Matheson avesse scritto un lungo MAGISTRALE incipit e un finale claustrofobico. E nel mezzo?
Il corpo centrale del romanzo è assente.
Anzi, no. C’è. Ma è una svista. Una macchia sullo schermo che si cerca di grattare via. È un virus vampiresco, GENIALE, e mal sviluppato.
Tanto per cominciare il protagonista avrebbe dovuto essere un ricercatore. Un genio della genetica. Non un normale lavoratore.
Invece è proprio una persona nella media, e nelle sue mani questa affascinante idea del virus vampiresco diventa un giocattolo pericoloso che rischia di scoppiare in mano al lettore. Lettore che come me si chiede dove voglia arrivare Matheson. Ma non perché questa idea sia sballata, ma solo perché è un’idea che risulta folle in mano a questo protagonista: non sa nemmeno come si usa un microscopio, figuriamoci come può avere le competenze per arrivare a una conclusione del genere.
E nel momento che questa conclusione arriva, cosa se ne potrebbe fare?

I PREGI
Il capitolo 9
Il più terrificante. Raramente ho trovato capitoli così perfetti nella loro architettura pienamente drammatica. La morte, l’angoscia, l’eternità come un carcere maledetto, gli squarci interiori, i dubbi, il dolore.
“E, vagamente, nel profondo dei tessuti cerebrali che ancora si dibattevano, si chiedeva come potesse starsene seduto lì, non capiva perché la sua disperazione non lo schiantasse al suolo.”
Le ultime righe, del capitolo sono un suggello perfetto. Inaspettato. Un boato che fa sobbalzare l’anima. Si resta con la pagina aperta, stupiti e basiti. Matheson ci ha preso per mano fin dalla prima riga del capitolo per portarci fin lì, sul baratro dell’orrore, per poi spingerci giù. E la cosa folle è che è bello essere buttati giù da un genio come lui.

Prosa
Valerio Evangelisti nella postfazione di questa edizione di Fanucci 2008 parla di prosa secca e asciutta.
Non sono d’accordo.
Se può essere vero per altri romanzi, come Helen Driscoll, non è così per Io sono leggenda, ci sono pagine che ricordano gli slanci letterari di Faulkner intessuti nelle atmosfere nere di Kafka. Pagine che è necessario leggere più volte per apprezzarne in pieno l’emotiva forza vibrante. In alcuni passaggi, Matheson sfiora la poesia. E questo succede in quasi ogni capitolo. Quindi, parlare di prosa secca e asciutta mi sembra una vera castroneria, a meno che Evangelisti non abbia come riferimento la prosa che Mann esprime in La morte a Venezia. Se così fosse, la prosa della quasi totalità degli autori sarebbe secca e asciutta.

Per finire
Molte le lodi a Matheson.
Eppure Io sono leggenda non mi è piaciuto.
Troppe aspettative, forse.
Una cosa è certa, è un romanzo ricco di idee e di atmosfere terrificanti. Idee che altri autori hanno colto e sviscerato. Idee che spingono ad ampliare lo sguardo nell’approcciarsi a un qualsiasi tema.

È la lezione tipica di Matheson: non c’è argomento sul quale sia stato scritto di tutto. C’è sempre un punto di vista non colto.
Grazie Richard


© 2012 by Sam Stoner



Titolo: Io sono leggenda
Autore: Richard Matheson
Editore: Fanucci
Anno: 2010
Pagine: 208
Prezzo: € 12,90
ISBN: 978-88-347-1604-5
Traduttore: Simona Fefè

domenica 18 dicembre 2011

REVIEWS: James M. Cain | Il postino suona sempre due volte




“Ho sempre amato Chandler e Hammett e Hemingway, ma nel corso degli anni, sono giunto a pensare che Cain, con questo romanzo e La fiamma del peccato, era il padrone della macchina della scrittura hard boiled. Sebbene la sua reputazione sia alta, avrebbe potuto essere ancora maggiore se avesse scritto un minor numero di libri, che per me sono solo deboli spettri di questo piccolo gioiello perfetto."  Joe R. Lansdale


Torrido. Spietato. Tragico. Crudele.
Cain è hard boiled puro. Sbatte in faccia al lettore la cattiveria, l’inganno, la perfidia. Ci sono pagine che lasciano interdetti. Tale è la spietata ferocia che non ci si capacita che possa essere reale ciò che si è appena letto. E non si tratta di scene di sangue, anche se ce ne sono, così crude da far rivoltare lo stomaco dei più sensibili; no, ciò che stupisce è il totale sprezzo della vita altrui per perseguire un proprio interesse.
James M. Cain
E qui troviamo il tema centrale della narrativa di Cain ossia persone comuni che desiderano una piacevole vita ma non sono disposte a lavorare per ottenerla. Nella loro intima essenza si sentono al di sopra di chiunque.
Siamo nel 1934, i personaggi si danno del voi, sono tutti ben vestiti, cordiali, educati, rispettosi delle leggi e con una morale perbenista che non lascia scampo. E in questa cornice apparentemente perfetta, tutti sono pronti a sbarazzarsi di una vita come di un panno vecchio pur di perseguire i propri interessi.

La trama è semplice: l’incontro tra un ragazzo e una ragazza, Frank e Cora. Il male, sembra essere Frank Chambers, ma in realtà è solo una pedina nelle mani di una donna che lo stesso Cain definisce “uno dei più temibili e vessatori fantasmi femminili che abbiano mai abitato le pagine di un romanzo.”
Frank è un perdente, sempre messo da parte dalla società. Una persona ai margini, che cerca di ottenere un giro gratis nella vita. Frank è tutto quello che Cora ha sempre cercato, un gran bell’uomo con la forza di volontà di una marionetta, l'unica cosa che lei deve fare è tirare le corde.
Cora è bella, appetitosa come una mela lucida ma con il verme dentro. È tutto quello che una madre teme per il proprio figlio. Lei è calda ma la sua anima è di ghiaccio. È proprio quello che Frank Chambers cercava: un sogno carico di sesso.
E lei usa il sesso senza scrupoli. Non esita a farsi “fottere” da Frank sul ciglio di una strada a fianco del cadavere del marito, Fonte della Morte dalla quale sgorga sangue per dissetare i suoi assassini.
Non c’è da fidarsi degli uomini. Ancor meno delle donne. Figuriamoci di una donna come Cora.
E che maestro è Cain nel descrivere la sua natura, quella della perversa passione femminile. Una passione capace di portare alla morte, capace di autodistruggersi portando all’inferno se stessa e l’innamorato.
Cain mette in scena la loro distruzione in modo implacabile passo dopo passo, è come guardare qualcuno che cammina sui binari di una ferrovia con il treno in arrivo. Per Frank, è un suicidio dettato dal desiderio sessuale. Per Cora, è un suicidio dettato dall'avidità. C'è vera attrazione tra i due, ma non c'è fiducia. E come dice Cain “ l’amore quando è mescolato alla paura non è più amore. È odio.”

Il romanzo è un sottile meccanismo a orologeria nel quale ci sono continui capovolgimenti. Ogni fine porta a un’altra storia, ogni storia contiene in sé il gancio per la successiva. Un domino Noir magistralmente costruito. E perfettamente descritto da un titolo micidiale, solo apparentemente slegato dal romanzo.
Perché il titolo, Il postino suona sempre due volte,richiama alla mente la Morte, certa come l'arrivo del postino: se non si risponde alla prima chiamata, si dovrà rispondere alla seconda. Ed è proprio questo che accade nel romanzo: c'è la prima volta nella quale si perde l’occasione di raggiungere e afferrare la scelta sbagliata, ma questi personaggi apriranno la porta alla seconda occasione. E ad attenderli non ci sarà la consegna della posta, ma un destino scavato tra le pareti dell'inferno.

© 2011 by Sam Stoner


James M. Cain è stato il maestro della letteratura hard-boiled.
Il suo lavoro ha ispirato così tanti romanzi, film e perfino fumetti, che se fossero impilati uno sopra l'altro arriverebbero sulla Luna e oltre.
Nato a Annapolis, James M. Cain (1892-1977) ha studiato al College di Washington, a Chesterton, Maryland, guadagnandosi una laurea e master c'è. Ha lavorato come giornalista, sceneggiatore e romanziere. Molti suoi romanzi sono diventati film. Tre - Il postino suona sempre due volte (1934), La fiamma del peccato (1936), e Mildred Pierce (1941) - sono considerati dei classici del cinema americano.



mercoledì 7 dicembre 2011

L'ombra noir di Sam Stoner nell'antologia Paesaggi letterari



Era la vita che avevo sempre voluto e che adesso non mi interessava più. Una parte di me era rimasta nel corpo freddo e ammaccato di mia madre. Una parte di me era due metri sottoterra chiusa in una bara di mogano a far da pranzo e cena per i vermi.”

Linea d'ombra, il mio raccnto presente nell'antologia Paesaggi Letterari,  è un piccolo gioiello noir. Uno dei racconti a cui sono più affezionato e nel quale è possibile ritrovare molti dei temi a me cari: la famiglia, la violenza, la vendetta, la perdizione, il rimorso, il terrore, l'ingenuità perduta, l'amore che sfugge e costringe a compiere gesti efferati. Siamo in campagna. La notte è protagonista, come sono protagonisti il sangue e la terra. E la Linea d'ombra, quella che separa il bene dal male. La sola linea capace di muoversi nella nostra anima permettendoci di essere cattivi e puri nello stesso tempo.
Paesaggi letterari era il contesto perfetto nel quale incastonare questo gioiello. Ringrazio Historica e Francesco Giubilei per averlo reso possibile. Ringrazio Helen Esther Nevola per averlo ispirato.

Sam Stoner


Titolo: Paesaggi Letterari
Editore Historica Edizioni
Anno: 2011
Genere: Antologia di racconti 
Autori: AA. VV.
Prezzo : Euro 16,00
Per acquistarlo: librerie e Ibs