martedì 16 ottobre 2012

Ogni amore tradisce





Leonid Pasternak
  

di Sam Stoner

Da quando ho cominciato a prendere contatti con il mondo editoriale la mia scrittura ha subito una brusca frenata. Ricordo con nostalgia i tempi in cui mi divertivo a scrivere. Già, tempi lontani. Entravo in rete e sfidavo ogni scrittore a fare meglio di me. Sfide su sfide. Un’ora di tempo per costruire un racconto capace di affascinare i lettori. Ricordo le parolacce che ricevevo, così come le lodi. Ricordo il piacere di inventare a briglia sciolta. L’adrenalina che scorreva tra le parole.
Poi è arrivato Facebook, le amicizie con editori, scrittori - non quelli che scrivono ma quelli pubblicati - i giornalisti, i blogger, i critici, gli editor, gli agenti e tutto il carrozzone di cartapesta che si sparla addosso lodandosi, ma che non ha che fare con la scrittura, così come la intendo io. Su Facebook ho perso gli amici con i quali mi divertivo a scrivere, a inventare. Oggi su oltre 1.000 amici solo due sono capaci di riportare a galla quei tempi.
Prima erano molti. Persino quelli che su Facebook sembrano spregiudicati e folli sono solo scimmie ammaestrate. Non valgono un cazzo. Sì, sono proprio disgustato da tutto questo.
Mi piacerebbe confrontarmi con gli altri scrittori, a turno dare un titolo e dopo un’ora mettere on line un racconto da far giudicare ai lettori, ma non lo fa nessuno, sono pubblicati e non si smerderebbero con uno qualunque come me. Sì perché gli farei il culo. O forse loro lo farebbero a me, ma almeno sentirei di nuovo il piacere di scrivere. Piacere che ho perso del tutto.
Non scrivo più per me e nemmeno per chi mi leggerà.
Scrivo per gli editori, per gli editor, per gli addetti ai lavori. Scrivo pensando a cosa possa piacergli. Perché sono loro che decideranno se sarò pubblicato.
E questa non è scrittura, questa è una tortura, una lenta e inesorabile tortura che non voglio più.
Capisco gente come Salinger, McCarthy, Pynchon ritirati da tutto e tutti. È il solo modo per scrivere. Stare lontano da tutti. Però in fondo direte, Ma chi cazzo sei tu per scrivere questa roba? Nessuno. Un coglione qualunque incontrato per caso in questo circo della vita.
Un coglione che si autocommisera e che gode nel mandare affanculo il mondo.

Amen.

lunedì 8 ottobre 2012

RECENSIONI: Cormac McCarthy | Non è un paese per vecchi

Anton Chigurh, il cattivo, in una scena del film dei fratelli Cohen
Per chi non lo conosce, è uno dei quattro grandi autori americani contemporanei insieme a Don De Lillo, Pynchon e Philp Roth.
Non è facile leggere McCarthy. Ma se ci riesci, assapori un gusto unico.
Tra i suoi romanzi questo è il più fruibile, oserei dire il più facile da leggere. Sarà che ne è stato tratto un film di grande successo a firma dei fratelli Cohen: una pellicola fedele al romanzo, capace di riportare sullo schermo l’essenza, lo spirito di questo intenso romanzo.
Il linguaggio adottato da McCarthy è semplice. Già, sembra quasi una bestemmia per chi conosce la sua scrittura, ma ciò che ha fatto è qualcosa di micidiale: elabora una narrazione secca, asciutta e spietata. Niente fronzoli, niente trucchetti. Qualcuno potrebbe obiettare che è facile raccontare una storia in questo modo. Be’, questo qualcuno sarebbe in malafede. Perché non esistono oggi autori capaci di mantenere una tale coerenza di scrittura per 250 pagine. Mai uno scivolone, un solo termine fuori posto, una frase che suoni scontata, un periodo che non mantenga la sua musicalità. Quella del blues più amaro a dodici corde di LeadBelly.
Cormac McCarthy
Qui c’è il sud degli Stati Uniti, e c’è la sconfitta di ogni valore posto alla base della società. Qui c’è il totale sprezzo della vita e della legge, del buon senso e della morale.
La sola voce narrante è dello sceriffo Bell. Un uomo deciso a difendere la propria gente e a mantenere l’ordine sociale. Non perché così gli è stato detto di fare, ma perché è così che deve essere.
Una voce stanca e sorpresa, sincera e comprensiva. Una di quelle voci che sanno come va il mondo, che sanno quando è tempo di far tacere la legge e lasciar correre e quando è necessario far scintillare la stella e la canna zincata della sua pistola. C’è il cattivo, Chigurh: uno dei più spietati cattivi mai incontrati nella storia del Noir. McCarthy non lo glorifica, lo racconta. Un tipo del quale aver paura. “Una persona qualunque” lo descrive un testimone. “Un killer psicopatico”, lo descrive un altro sicario. Uno che si fa arrestare solo per vedere come riuscirà a far fuori i poliziotti e poi fuggire.
E poi ci sono rapporti matrimoniali fuori dall’ordinario, trafficanti di droga, brava gente attratta dal crimine, un mucchio di soldi che passa di mano in mano, una scia di sangue e violenza dalla quale nessuno si salva. Il tutto narrato senza affanno. Come diceva il protagonista del film Gli Spietati, William Munny (Clint Eastwood N.d.A.): per restare vivo bisogna essere freddi, guardare negli occhi chi ti sta davanti e colpirlo, fregandosene delle pallottole che sibilano vicino la testa. E non importa quanti avversari hai davanti, conta solo restare freddi. E questo McCarthy lo sa bene.
Stesso registro per i dialoghi. Sembra che McCarthy utilizzi lo scalpello. Ogni battuta, un nuovo intaglio. Fino a dar forma a personaggi possenti che trasudano onestà. Nessun personaggio sopra le righe. Nessuna parola fuori posto. Le battute sono dette a mezza bocca, non per far sorridere ma perché così si parla nel Texas.

Da leggere.

Trama: Nel 1980, nel Texas meridionale, al confine con il Messico, il giovane Llewelyn Moss, un reduce dal Vietnam, si imbatte, mentre sta cacciando antilopi nella prateria, in un convoglio di jeep colme di cadaveri, di droga e di soldi. Prende i soldi e decide di tenerseli, ma diventa subito la preda di una spietata partita di caccia: inseguito dai trafficanti, da uno sceriffo vecchia maniera, nonché dal solitario Chigurh, un assassino psicopatico munito di una pistola da mattatoio. Moss tenta disperatamente di sfuggire a un destino inevitabile, coinvolgendo per ingenuità la giovanissima moglie.

Cormac Mc Carthy
Non è un paese per vecchi
Einaudi
pag 250
€ 10,80
Traduzione di Martina Testa



venerdì 14 settembre 2012

Noir. E' anche musica, straziante e perdente.

Questa versione di Love is a losing game (L'amore è un gioco perso o perdente) di Amy Winehouse offre un magistrale esempio di canzone noir, per atmosfera, testo e interpretazione.

Charles Frazier sceglie i cinque miglior romanzi Hard Boiled

Di Charles Frazier
(Articolo pubblicato da The Telegraph ) 

Traduzione di Sam Stoner
L’hard boiled crime fiction raggiunse il suo apice durante gli anni Venti e Trenta. Scrittori come Dashiell Hammett e Raymond Chandler riuscirono a sviluppare un distinto stile letterario. Come nei film noir che poi avrebbero ispirato, i migliori romanzi hard boiled fecero dello Stile di scrittura il primo mezzo per delineare personaggi e luoghi.
Il primo romanzo di Hammett Red Harvest (1929), è una sanguinosa storia amorale di un detective privato in una città mineraria corrotta. La violenza si intensifica in modo addirittura comico,ma il linguaggio serrato è quello che avrebbe potuto usare Hemingway nel descrivere un film di Sergio Leone.
Il postino suona sempre due volte (1934) inizia con uno dei più grandi incipit: "Mi hanno buttato giù dal camion di fieno a mezzogiorno." Da qui, James M Cain riesce a tessere un racconto di lussuria, avidità, gelosia e omicidio.
Il lungo addio (1953) ha il mio voto per il miglior romanzo di Chandler. Non è così finemente lavorato come il suo precedente lavoro, ma si avverte una maggiore ricchezza e profondità accompagnata da un mood che definirei autunnale.
L’amaro, cinico capolavoro pulp di Jim Thompson, Pop. 1280 (1964), probabilmente è un gusto acquisito. La narrazione in prima persona, però, è brillante, e l'humour non poteva essere più nero.
Daniel Woodrell di Give Us a Kiss (1996) è uno dei miei preferiti discendenti moderni del genere. Mi piacerebbe metterlo su uno dei rami dell'albero genealogico di Chandler, soprattutto perché la prosa di Woodrell è una vera delizia che si snoda frase dopo frase.

Articolo originale in inglese a questo link http://www.telegraph.co.uk/culture/8781967/Charles-Frazier-chooses-five-of-the-best-hardboiled-novels.html


Charles Frazier, scrittore statunitense. Il suo romanzo di maggior successo è Ritorno a Cold Mountain.

domenica 9 settembre 2012

RECENSIONI: Michael Connelly | Ghiaccio nero



di Sam Stoner

Volevo essere spietato in questa recensione, ma ci sarebbe stato un problema: se sarò spietato con un peso massimo come Connelly, e con questo che è il secondo romanzo che lo ha consacrato come uno dei più grandi narratori thriller al mondo, cosa dovrò fare con tutti gli altri scrittori, me compreso? Michael, ti ha detto bene, sarò soltanto crudele.
Michael Connelly
Ghiaccio nero non mi ha esaltato.
Ok, c’è Bosch, c’è una Los Angeles noir (ma non troppo), ci sono poliziotti corrotti e una criminalità spietata, c’è una storia d’amore, c’è una trama elaborata e il colpo di scena finale. Ma… purtroppo c’è un “Ma”. Un “ma” che si sostanzia in vari punti deboli che Connelly ha razionalmente introdotto per sostenere una trama eccessivamente complessa e per permettere a Bosch di fare la sua parte di “giustiziere” contro tutti. Ma perché, mi chiedo, I vari personaggi sullo sfondo, buoni e cattivi, debbono fare la parte di beoni superficiali e incompetenti, perché suggerire velatamente al lettore che alcuni i colleghi di Bosch siano addirittura corrotti per giustificare il loro comportamento, quando così non è? La risposta è semplice, far fare bella figura a Bosch, il solo, ad esempio, che chiede le impronte digitali del poliziotto morto al dipartimento, come da procedura, tutti gli altri, capo medico patologo e i suoi assistenti, l’Aiuto Capo di polizia, il capitano di Bosch, guardano il cadavere e dicono:” ll cadavere indossa gli stivali di Calexico (il polizotto morto) quindi è lui. Caso chiuso”. Ora, con tutta la buona volontà….
Inoltre, il finale offre scenari militareschi, con elicotteri silenziosi da combattimento, visori notturni e altre trovate ipertecnologiche perfette per i cultori del genere, ma che io non apprezzo molto.
Per questo dico che il secondo romanzo di Connelly è un buon romanzo, ma non un gran romanzo.


Trama:
In un motel di periferia viene rinvenuto il cadavere di un poliziotto. Si è sparato alla testa con un fucile a canna doppia e ha lasciato un biglietto d'addio. Sembra un caso semplice, ma Harry Bosch, detective della divisione Hollywood a Los Angeles, non è convinto. Calexico Moore, il presunto suicida, stava indagando sul traffico di una nuova droga, il "ghiaccio nero", e Bosch sapeva che non aveva alcun motivo di togliersi la vita. Deciso ad andare fino in fondo, Bosch si fa mandare in Messico per continuare l'indagine iniziata da Moore.




2008
Pagine 393
brossura
Traduttore Montanari G.
Prezzo di copertina € 10,50
Editore PIEMME



mercoledì 5 settembre 2012

Ceme&Tery Cafe



In questo breve racconto troverete "la Morte così come non l'avete mai vista..."
Ho offerto una personale lettura della realtà e delle dimensioni parallele che ci accompagnano quotidianamente. I dialoghi sono forti, sia per il contenuto che per i termini usati, alla larga gli animi sensibili.
Agghiacciante e divertente.

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lunedì 20 agosto 2012

Sam Stoner su Words Social Forum












"Me ne stavo lì, a terra. Con un fiotto di sangue che si riversava su quel freddo e desolato marciapiede.
Stavo crepando.
Lo sapevo e non potevo farci niente, se non aspettare la morte..."


Il mio racconto "L'inferno" presente nelle pagine di Words Social Forum.
WSP, un Centro sociale dell'arte, un non-luogo che trae nutrimento dalla più ampia pluralità di voci e filoni di pensiero. Lo strumento per condividere, ideare e diffondere nuove idee e progetti, oltre quello della critica intelligente, seppur mordace e caustica, il motore perchè si realizzi uno scambio culturale il più ampio e ispirato possibile.Grazie ad Antonella Taravella per il gentile invito.

venerdì 3 agosto 2012

RECENSIONI: John Fante | Chiedi alla polvere


"Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d'albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell'albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce a andandomene a letto."



Non scriverò di Chiedi alla polvere.
Perché nessuno deve convincersi di leggere FANTE.
Io ho impiegato anni per leggerlo.
Sapete il perché?
È stato a causa di quegli sciatti e volgari scribacchini che imbrattano la quarta di copertina delle sue opere.
Parole dannose, le loro.
John Fante
Parole buone solo per teste stanche e vuote, non per me, per la mia fulgida intelligenza e per la mia sensibilità delicata. La loro prosa arida e vuota è incapace di cogliere l’essenza della scrittura di Fante.
Anzi, è incapace di cogliere l’essenza di qualsiasi scrittura.
Come posso arrogarmi il diritto di dirvi come scrive Fante o cosa scrive? Che senso avrebbe? Il solo consiglio che posso darvi è di andare in una libreria, prendere un romanzo di Fante, aprire a caso su una pagina e leggere. Forse vi piacerà, forse lo troverete supponente pazzo e violento. Forse lo troverete inutile. Forse vi sconvolgerà. Solo così potrete capire.
Riguardo me, posso dirvi che mi ha conquistato. È passione, è amore, è delicatezza, è fulgore, è poesia. È una scrittura che nessuno potrà mai possedere ma solo desiderare.
Si potrà amare, segretamente, nel silenzio delle polverose scale di Bunker Hill.




8 aprile 1909 - John Fante nasce a Denver, Colorado da una famiglia di immigrati italiani

1932 - si trasferisce a Los Angeles Viene pubblicato un suo racconto su The American Mercury.
1937 - John sposa Joyce Smart, da cui avrà quattro figli.
1938 - Wait until spring, Bandini
1939 - Ask the Dust
1940 - Dago Red, una raccolta di racconti.
1952 - Full of Life
1956 – La Columbia Pictures acquista i diritti per fare un film da Full of Life. Fante può lavorare (per la prima e unica volta) a una sceneggiatura tratta da un suo libro. Il film avrà la regia di Richard Quine. I protagonisti saranno Judy Holliday (premio Oscar 1950), Richard Conte e per la prima volta sullo schermo Salvatore Boccaloni, stella del Metropolitan Opera. La sceneggiatura ottenne la candidatura come miglior commedia dalla Writers Guild of America.
1957 - E' in Italia e lavora come sceneggiatore insieme a Richard Quine per la sceneggiatura di un film, The Roses, il cui ruolo protagonista la Columbia vuole affidare a Jack Lemmon. Risiede a Napoli (nel lussuoso Hotel Vesuvio) per sette settimane. Ma il film non vedrà mai la luce.
1960 – Accetta, dopo tanta insistenza da parte del produttore italiano, un contratto con Dino De Laurentiis. Rimane oltre due mesi nella Roma della Dolce vita e delle Olimpiadi. La sceneggiatura diventa un film dal titolo (italiano) Il re di Poggioreale. La regia è dell’abruzzese Duilio Coletti. Il protagonista è Ernest Borgnine.
1977 – The Brotherhood of Grape, l’ultimo romanzo scritto da Fante
1979 – Dreams from Bunker Hill, il suo ultimo libro  che uscirà solo nel gennaio 1982.

giovedì 19 luglio 2012

RECENSIONI: Geroges Simenon | La neve era sporca


Questa recensione non vuole essere un oggettivo e distaccato giudizio sull’opera in questione, esprime solo il mio personale punto di vista sulla stessa.


Come sempre, i “critici”, quelli ufficiali, non capiscono un cazzo.
Questo è il mio primo Simenon.
Perché non ne ho mai letto uno? Semplice, amo la letteratura anglosassone e non mi fido molto dei cugini francesi. Lessi un Vargas, tempo fa. Roba buona per ragazzini delle elementari. La mia esperienza francese morì con Fred. Poi un giorno lessi una recensione di questo romanzo firmata dallo scrittore Marco Proietti Mancini. Uomo di grande sensibilità. In realtà mi fermai al primo paragrafo. Fu sufficiente per decidere di leggere “La neve era sporca” e non volevo farmi influenzare dalla recensione.
Così, andai in biblioteca. Sembrava mi stesse aspettando. Lo avevano letto solo in tre. Era praticamente nuovo.
Lessi la quarta di copertina. Mi puzzò. Non mi piacciono i romanzi di guerra, figuriamoci l’occupazione nazista. L’autore della quarta, ci aveva infilato pure un bel “una città dove tutto è tradimento e doppiogioco”. Se fossi il signor Adelphi gli avrei dato un calcio nelle palle. Peccato che non si sappia chi sia questo idiota. Sì, perché in questo romanzo l’occupazione nazista e il doppiogioco non centrano un beneamato cazzo.
Questo però, si sa solo alla fine. Dopo averlo letto.
La prima pagina del romanzo è scritta da schifo. L’ho dovuta leggere almeno tre volte per capirci qualcosa. Tre nomi che si intrecciano tra loro confondendo le idee. Ok, sono i protagonisti, ma posso assicurarvi che si poteva fare di meglio. Malgrado la quarta di copertina e l’incipit, vado avanti.
La storia comincia a delinearsi.
Dentro c’è Dostoevskij, “Delitto e castigo” e “Memorie dal sottosuolo”, per l’esattezza.
E poi c’è Orwell con il suo capolavoro “1984”.
C’è la colpa, il peccato, l’assassinio, la discesa negli inferi del protagonista, i suoi pensieri, l’essere carnefice e vittima, succube del suo malessere marcescente, c’è il rifiuto dell’amore, un rifiuto violento, spregevole. C’è il grande occhio, colui che tutto conosce e sa. Ci sono uomini senza volto pronti a prelevarci dal letto per segregarci in anonime e disperate celle. E cosa è tutto questo se non la nostra coscienza che si ribella alle nostre azioni? Tutto è simbolico in “La neve era sporca”. I nazisti, di cui parla l’idiota in quarta di copertina non esistono. L’occupazione, la guerra, tutte baggianate inventate dalla povera mente di un inetto.
C’è invece il terrore di essere presi in qualsiasi momento da qualcuno che ci osserva, che conosce ogni nostra azione e forse anche i nostri pensieri.

Non vi parlerò della storia.
Vi dirò solo che si tratta della disperata ricerca di se stessi. Una ricerca che a volte può assumere toni drammatici e tragici. Lacerazione pura della propria coscienza e della morale.
Simenon ha fatto uno straordinario lavoro. Ha permeato di sensibilità francese il mio amato Raskol nikov inserendolo in un contesto dove i ruoli di ognuno vengono alla fine completamente ribaltati, la primegenea e nera versione di Truman Show.
Si può parlare di capolavoro. Ma non è un Noir, e nemmeno un giallo, tanto meno una spy story oppure un thriller.
È un dramma introspettivo. Dei migliori.
Per chi scrive: una lezione su come rendere il flusso di coscienza e su come costruire un personaggio attraverso le sue azioni e le sue parole. Senza raccontare nulla, lasciando parlare la sua vita.
Da leggere. Assolutamente.



.Mi permetto di citare le parole di Marco Proietti Mancini a proposito del romanzo di Simenon. Parole che mi hanno indotto alla lettura.
"Semplicemente IMMENSO.
Eppure, ve lo giuro, diverso da qualsiasi altro Simenon letto prima, ed io ne ho letti almeno una settantina (ho perso il conto). Di Simenon non c'è nulla, nulla che non mi sia piaciuto, qualcuno dei suoi libri mi è piaciuto moltissimo. Ma questo nella sua dolorosa crudezza, nel cinismo e nella fredda descrizione della malvagità, senza nessun orpello, senza nessun bisogno di arricchirla, è sconvolgentemente bello.
La casualità del male, il male peggiore, non il male del diavolo, ma il male dell'uomo qualsiasi."
(2012 by Marco Proietti Mancini)



La neve era sporca
Autore Simenon Georges
Prezzo € 10.00
Anno 2004,
pagine 266
brossura, 2 ed.
Traduttore Visetti M.
Editore Adelphi (collana Gli Adelphi)

mercoledì 13 giugno 2012

Booktrailer per ITALIAN NOIR


Fabrizio Cennamo, uno degli autori di “Italian Noir”, ha realizzato un booktrailer dell’antologia, in cui fa un omaggio a tutti coloro che hanno partecipato con i loro racconti, come appunto il sottoscritto.

giovedì 26 aprile 2012

RECENSIONI: Marcela Serrano | Nostra signora della solitudine




La quarta di copertina recita:
Storia di due donne profondamente diverse ma unite da una linea sottile che le lega nel dolore, nella speranza e nella solidarietà.

La storia.
Nel caldo torrido dell'estate cilena,Carmen Lewis Avila, scrittrice di grande successo, scompare. La polizia archivia il caso ma Rosa Alvallay, investigatrice privata, ottiene l'incarico di ritrovarla.

I presupposti per intrigare con un giallo al femminile ci sono tutti. Ma vengono ben presto disattesi.
Si sente un tale livore nelle parole di Rosa riguardo i vari personaggi che interroga, tale da rendere la lettura, in alcuni passaggi, irritante.
Non importa che Rosa si imbatta in donne o uomini, in familiari o amiche, tutti sono disprezzati. Ognuno di loro presenta caratteristiche diverse ma negative.
Tuttavia, il solo, vero personaggio negativo è C.L.Avila, la scrittrice scomparsa, la sola che la Serrano giustifica ed esalta, fino a considerarla un modello di donna.
Arrivato in prossimità di pag 100 continuo a chiedermi perché Marcela Serrano riscuota tanti favori dal pubblico femminile. Certo, è una donna e donne sono le protagoniste del suo romanzo, ma non basta questo.
Finalmente scopro il perché.

Primo trucchetto
La Serrano ricorre ad un abile trucchetto, trucchetto al quale uno scrittore non dovrebbe mai ricorrere.
A pagina 97 la Serrano scrive, riguardo la protagonista: “ Ma ora ecco qualche mia caratteristica…” E nelle successive tre pagine descrive una donna comune nell’aspetto, anzi un po’ in carne, che non riesce a dimagrire malgrado i buoni propositi, parla di aspirazioni fallite, della propria malinconia, di un marito ingombrante, dell’impossibilità reale per una donna di essere totalmente indipendente e così via.
Chiude con un colpo da maestra. “Devo mettermi nei panni di C.L. Avila perché malgrado le differenze anche lei è una donna obbligata a sottomettersi”. Sottomettersi a chi e come e quando non si sa, almeno non c’è scritto nel romanzo.
Guardate quanti temi cari alle donne. Chiaro che la leggeranno. Tre pagine zeppe di cliché nei quali ognuna troverà elementi nei quali identificarsi, tanto più che sono riportati in modo così generalizzato.
Un vero scrittore avrebbe dovuto far emergere queste caratteristiche nella protagonista, lentamente, mostrando in che modo il marito è ingombrante, perché lei è malinconica, per quale motivo lei non riesce ad essere totalmente indipendente e perché questa mancanza di indipendenza sia legata all’essere donna.
Un processo di identificazione con la protagonista che deve maturare lentamente, pagina dopo pagina.
Invece no, la Serrano elenca queste caratteristiche come se stesse facendo la lista della spesa. Troppo facile.

Secondo trucchetto.
La Serrano ci dice che la donna scomparsa, C.L. Avila, soffre di depressione. Tutti noi soffriamo di depressione, prima o poi. Solo che qui è diverso, perché C.L. Avila è una stronza di prima categoria e il solo modo che la Serrano ha di renderla simpatica è il compatimento, che raggiunge il suo climax nelle ultime pagine. Dopo aver abbandonato il figlio per girare l’India alla ricerca di se stessa per lenire il dolore dell’abbandono dei propri genitori, e quindi dopo averci detto che ha seri disturbi mentali che la portano ad abbandonare a sua volta il figlio, ecco arrivare il trucchetto.
La protagonista viene violentata da un gruppo di uomini.
Il lettore non ha così il tempo di pensare. C’è spazio solo per il compatimento.
Questo mi fa pensare che il personaggio della scrittrice di gialli sud americana C.L. Avila sia in realtà proprio lei, la Serrano. Solo così si giustifica il continuo proposito di perdonarsi,
Il tutto dà l’idea di un camino volto a cercare l’indulgenza, se non il perdono, da parte del lettore, e di se stessa.
Tutte le azioni compiute, l’aver sposato un uomo che non ama solo perché le garantisce sicurezza per poi abbandonarlo, l’aver lasciato il figlio per cercare se stessa in oriente, usare il denaro della famiglia del marito e nel contempo disprezzarlo, il suo isolamento, gli scatti d’ira ingiustificati, tutto questo tratteggiano una donna profondamente egoista e anaffettiva che però la Serrano fa assurgere a simbolo del riscatto sociale della donna. Ma quale donna? Di certo non delle madri, delle mogli, delle compagne, delle amiche, delle donne di cuore, delle professioniste, ossia di tutte quelle donne che nulla hanno a che fare con la protagonista.
Il romanzo avrebbe dovuto avere un titolo diverso "Amore, questo sconosciuto". Non solo l’amore nei confronti di un partner ma amore per la vita.
Romanzo vuoto, con una protagonista femminile bidimensionale (l'investigatrice) e un mistero che altro non è se non il mancato tentativo di riscattare una figura femminile pessima, isterica, egoista e desolata.


Titolo: Nostra Signora della Solitudine
Titolo originale: Nuestra Senora de la Soledad
Autrice: Marcela Serrano
Genere: Giallo
Editore: Feltrinelli – I Narratori
Prezzo: € 12,91
Pagine185
Traduzionee Michela Finassi Parolo

mercoledì 14 marzo 2012

Una vittima ogni tre giorni.


Una vittima ogni tre giorni. Queste sono le cifre di una guerra che si consuma tra le mura di casa: quella della violenza domestica.

Lo scorso anno, 142 donne sono morte per mano del proprio marito, compagno o ex compagno. L’uomo che un giorno ad ognuna di loro aveva detto “ti amo”. E che le ha uccise non potendo sopportare l’abbandono, la separazione e il rifiuto.
Il tutto nell’indifferenza di magistratura e forze dell’ordine. Il cui intervento avviene sempre e solo dopo che la richiesta di aiuto si è trasformata in una bara. E nell'indifferenza di vcini e familiari. Mentre parlerei di connivenza per i familiari dello schifoso bastrado.
Una donna devastata dalla violenza del figlio di puttana di turno. Del resto si sa che scivolando in bagno ci si frattura una gamba , un braccio, la mascella, lo zigomo e si hanno ecchimosi su tutto il corpo. Chissà… mi viene di pensare che il medico che ha soccorso questa vittima fosse uomo. Come gli uomini togati sempre “morbidi” con chi si diletta a passare il proprio tempo a massacrare di botte la “povera stronza” che gli capita sottomano.
Ragazzi potete fare come vi pare con la donna che avete al vostro fianco perché la legge vi tutela, la polizia scrolla le spalle per intervenire ci deve essere stato un reato…, gli assistenti sociali latitano, e se per caso si arriva in un tribunale senza cadavare non si può procedere a nessuna accusa. E poi chi dice che sia stata picchiata? Seviziata? Che venga umiliata e stuprata psicologicamente? Eh no, non si può provare.
Giudice: “Scusi signor “pezzodimerda” del disturbo arrecatogli. E lei signora la faccia finita di rompere i coglioni alle istituzioni, hanno cose ben più importanti a cui pensare.”
Una bella stretta di mano e, come ovvio, un calcio alla milza alla poveretta giusto prima di cena. Tanto per ricordarle che non conta niente.
L’unica via di scampo è il suicidio. Però, pensandoci bene potreste fare altro care amiche: riscaldare olio di semi di girasole e poco prima che bruci la padella versarlo addosso al bastardo che dorme in camera da letto. Oppure potreste procurargli un bel trauma cranico usando il mattarello. Da dietro, mentre guarda la tv e si sta appisolando.
E’ chiaro che qualcuno (maschio) potrebbe dire che sto istigando a commettere reati. No, sto impedendo che un bastardo commetta l’ennesimo omicidio impunito. Ma questa non è una buona scusa, lo so bene. Infatti in Italia la violenza domestica è commessa solo dalle donne, quelle perpetrata dagli uomini…non esiste. E’ pura fantasia popolare.
Ehi tu,cazzone! Mi fai schifo. Sì, tu che abitualmente prendi a schiaffi la tua compagna. Quanto vorrei prendere quella mano e schiaffartela su per il culo!!!

Sam T Stoner

http://www.nondasola.it/
http://www.zeroviolenzadonne.it/
http://www.centriantiviolenza.eu/
http://www.fioccobianco.it/
www.carabinieri.it/Internet/Cittadino/Consi...

mercoledì 22 febbraio 2012

SAM STONER VINCE IL CONCORSO CORPIFREDDI 2012


Minchia sono primo a pari merito!
Le prime parole che ho pronunciato quando ho visto la classifica. E sì. perché gli 11 vincitori sono stati selezionati su oltre 150 partecipanti.
Me l'aspettavo? Diciamo che in me c'era solo il desiderio di strappare qualche risata a chi avrebbe letto la mia storia. Sì, perché pur essendoci molti morti e molto sangue, si ride. Qui è il bello. A quanto pare il meccanismo ha funzionato. Ora dovete leggerlo voi.
E anche se non è bello ridere in faccia a un morto, a volte non se ne può fare a meno.

I VINCITORI


1 - Simone Togneri - Altrove *
1 - Sam Stoner - Elvis Rosso Sangue *
2 - Riccardo Carli Ballola - Cenere alla cenere **
2 - Paolo Bartolozzi - Un racconto davvero orribile **
5 - Rudy Salvagnini - Pactum Sceleris
6 - Luca Rinarelli - H ***
7 - Federico Pergolini - Cacciatori e prede ***
8 - Fabio Giofrè - La realtà sopra le cose ***
9 - Damiano Celestini - Rock the Casbah ***
10 - Antonino Fazio - Lavoro notturno ***
11 - Afra Tresoldi - Body ***

I PREMI
- Per gli 11 selezionati, contratto di pubblicazione su piattaforma telematica in formato ebook-serial e distribuzione sul mercato tedesco, svizzero e austriaco, con 20% netto sulle vendite;
- Ai primi 3 classificati, suddivisione dei libri messi a disposizione dalle Case Editrici sponsor;
- Tra tutti coloro che hanno inviato i manoscritti, assegnazione ad uno dei racconti in concorso della trasposizione in cortometraggio ad opera della Casa di Produzione Laboratoia.

RINGRAZIAMENTI
Alla redazione di Corpifreddi che nel selezionare 150  racconti da 50 mila battute ognuno avrà sicuramente lasciato sul campo qualche cadavere.
Alla Chichili Agency e inarrestabile Roberta Gregorio.
A Peppe, Dario e Isacco della casa di produzione filmica Laboratoia che darà vita alle parole di uno dei racconti tra quelli inviati in Redazione.
Alle Case Editrici, che hanno sponsorizzato l'evento Fazi, Polillo, Elliot, Giano, Baldini Castoldi Dalai, Garzanti, Edizioni XII.

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