sabato 19 gennaio 2013

La mia amata rivista gotica MSP Mag



Mary Shelley Project Magazine.
Il numero due del periodico di cultura gotica più seguito in Italia è finalmente on line.
Il vostro odiato Sam Stoner (Direttore Editoriale) e Cinzia Giorgio (Direttore Esecutivo) sono gli ideatori della rivista.
Abbiamo atteso qualche mese di troppo ma a giudicare dai risultati ne è valsa la pena.
Il magazine si può trovare in:
oppure si può leggere sulla piattaforma Issuu http://issuu.com/mspmagazine/docs/mspmag2
sfogliandolo come una vera e propria rivista.
Nelle prossime settimane i più fortunati riceveranno una copia cartacea, chi ne desiderasse una potrà richiederla scrivendo a maryshelleyproject2011@gmail.com

Questo numero, più importante con una foliazione di 68 pagine e più ricco nei contenuti rispetto al primo, apre con Ann Radcliffe (regina del gotico inglese) protagonista della rubrica Interviste dall’oltretomba curata dalla scrittrice Cinzia Giorgio, che ci offre anche un interessante ritratto di Mary Elizabeth Maxwell Braddon, capostipite della letteratura gotica; per Focus on l’esclusiva intervista a Giulio Leoni, indiscusso maestro del giallo storico. Marcello Gagliani Caputo, per il cinema gotico/horror, offre un parallelo tra  il Dracula di due grandi registi Browning e Coppola, e Salvo Zappulla, direttore della casa editrice Merino Nerella, intervista Barbara Baraldi, una delle più importanti esponenti della narrativa gotica contemporanea. Grazie alla collaborazione con Daniela Contini e Antonella Leone di Full Frame (http://www.fullframeallinyourhead.com) il MSP Mag accoglie in esclusiva, nelle proprie pagine, gli scatti gotici dei più creativi fotografi contemporanei: in questo numero Andrea Talarico.

Per  l’arte gotica, Rosanna Mele continua il suo viaggio nell’inquietudine con Francisco Goya mentre Paola Pegolo indaga le figure della donna lupo, la vampira e la vamp. Ancora cinema con la recensione di Vestito per uccidere di Brian De Palma a cura di Arthur Lombardozzi e de La Chiesa di Michele Soavi curato da Elizabeth Sherrinford. Sonia Paolini intervista Serena Bono autrice del saggio Origine e diffusione del vampirismo. Infine, le recensioni della Biblioteca di Alessandria con Leopoldo Lugones, Marion Zimmer Bradley, Muse ribelli e La notte di Villa Diodati di Mary Shelley.

Per qualsiasi informazione
visitate il sito ufficiale www.maryshelleyproject.com
visitate la pagina Facebook Mary Shelley Project
oppure scassate le palle al qui presente Direttore Editoriale di Mary Shelley Project Magazine.
Buona lettura.
 

lunedì 7 gennaio 2013

Sam Stoner si racconta attraverso il cibo


 
 
Grazie a Federica Gnomo per avermi ospitato nel suo blog Gnomo sopra le righe all'interno della rubrica "In cucina con lo scrittore". 
 
Non so che ritratto sia uscito di Sam Stoner, ma di sicuro Federica è riuscita a mostrare alcuni aspetti inediti della mia persona e anche qualche curiosità.

La prima domanda di rito è: le piace mangiare bene? E cucinare?
Mangiare è un’esperienza mistica. Misteriosa e totalizzante, capace di sedurre sensi, ragione e cuore. C’è un che di erotico. Quindi sulla mia tavola c’è solo il meglio, sempre. E mi piace cucinare, è una sorta di sofisticato autoerotismo culinario...

Il resto dell'intervista al link seguente

domenica 23 dicembre 2012

Presentazione a Roma delle Cronache dalla fine del Mondo

Sam Stoner e Laura Costantini

di Sam Stoner
Venerdì 21/12/2012 alle ore 18 al Centro Culturale Elsa Morante (piazzale Elsa Morante, Roma) per il ciclo “lo scrittore contemporaneo” si è tenuta la prima presentazione ufficiale dell'antologia “Cronache dalla fine del mondo” curata da Laura Costantini.
All'evento erano presenti, oltre alla curatrice dell'antologia e all'editore Francesco Giubilei, alcuni dei 25 autori: Enrico Gregori, Francesca Montomoli, Aurelio Raiola, Marco Sisi, Sam Stoner, Giovanni Stoto.
La presentazione, iniziata con un cappello introduttivo del direttore del centro culturale Pier Luigi Manieri, è proseguita con una piacevole intervista/conversazione con ognuno degli autori presenti seguita dalla lettura di un brano tratto da ciascun racconto.
Atmosfera calda e accogliente, quella del Centro Elsa Morante. Poltrone comode, bar, esposizione di dipinti a far da cornice alla sala. Volti amici come quello di Pier Luigi Manieri, direttore del centro ma anche autore di saggi cinematografici, racconti e romanzi, e di Laura Costantini, curatrice dell’antologia, giornalista e scrittrice. Per non parlare del pugno di cronisti apocalittici in sala e della presenza a sorpresa della più spietata delle selezionatrici dell’antologia, la scrittrice Loredana Falcone che ha decapitato 75 dei cento racconti pervenuti alla redazione di Historica Edizioni.
Due ore volate via, più veloci delle astronavi presenti nei racconti dell’antologia, chiuse dai ringraziamenti dell’editore Francesco Giubilei, probabilmente il più giovane editore italiano.
Alla prossima.



 

martedì 18 dicembre 2012

RECENSIONE | Cronache dalla fine del mondo


 
"La ventola gira sul soffitto.
La sua debole ombra trascina i miei pensieri, li trancia con le sue pale facendone coriandoli neri perfetti per questo inferno.
Molto tempo fa, quando aprivo gli occhi al mattino ringraziavo quel dio ormai dimenticato di avermi regalato un altro giorno di vita, ora mi si contorce lo stomaco perché mi rendo conto di non essere crepato nel sonno.
La ventola gira. Il sudore cola sulla pelle, l’umidità corre sulle pareti disegnando fantasmi di piombo che irridono questa non-vita. Non so più nemmeno che anno è. Come se poi avesse importanza. È solo un nuovo giorno. Tutto qua.
Mi alzo e apro le persiane per far entrare il grigiore del mattino nella stanza. Ormai il sole è soltanto un ricordo. Da quando è arrivato il grande buio, da quando queste fottute nubi nere hanno oscurato il cielo, sulla terra è calato un crepuscolo invernale, perenne e privo di colori. Un crepuscolo con il quale si potrebbe anche convivere, ma non in questo inferno. Un inferno chiamato C-4: la città fantasma nella quale sono confinato..."
(incipit del racconto di Sam Stoner "Comandamento Numero Uno")

 
di Sam Stoner
 
La giornalista e scrittrice Laura Costantini e l’editore Francesco Giubilei, patron di Historica Edizioni, al termine di una notte passata a sbevazzare rimasero sbalorditi di fronte alla notizia dell’imminente fine del mondo letta per sbaglio sulla settimana enigmistica. I fumi dell’alcol li convinsero che quei nanerottoli dei Maya erano più in gamba di Frate Indovino e decisero, seduta stante, di realizzare la raccolta dei più fantasmagorici racconti aventi come tema la fine del mondo. Come se ai lettori potesse fregare qualcosa di queste fantasie cialtronesche.
Ormai persuasi della necessità dell’opera chiamarono a raccolta centinaia di invasati dalla penna facile, selezionandone venticinque. I venticinque, compreso il sottoscritto, che costituiscono la banda di cialtroni chiamati impropriamente scrittori da qualcuno.
Nacque così l’antologia Cronache dalla fine del mondo.
Perché leggere quest’opera, vi starete chiedendo.
Diciamo che l’antologia può offrire spunti su cosa fare prima della fine del mondo, avendo chiaro quali potrebbero essere i tremendi scenari futuri. E qui una bella grattata di palle ci sta proprio bene. Le mie si sono ormai consumate.
I suddetti cialtroni, ancor più dei folli promotori, si sono dati da fare. Così, sfogliando l’antologia troverete di tutto. Da chi aspetta la fine del mondo consolandosi con una bella trombata in una stanza d’albergo, chi con un pompino sotto il Vesuvio, scrittori che si smanettano il “manico” sul balcone (no, non sono io…). Una cosa è certa, bisogna provare a infilarlo, visto che nel futuro chi proverà a farsi una sveltina creperà con dolore sempre che abbia a disposizione qualche donna e non un orto, anche se ben protetto da alte mura di cinta.
C’è anche chi delizia il palato con biscotti appena sfornati inzuppati in un buon moscato, il che è una gran bella consolazione. Topi permettendo.

Non mancano gli alieni, non proprio svegli visto che si lasciano fregare da ragazzine armate di fionda e da  mezzofondisti andati in bianco. Va meglio alle deità assortite (quelle dell’Olimpo), le quali mantengono un minimo dignità anche nella sconfitta. I cataclismi, invece, la fanno da padroni. E qui sono cazzi. Per non parlare della guerra nucleare in diretta tv.

Ci sono le donne. Donne in dolce attesa che prendono il volo nella speranza di un futuro migliore, donne che si godono la vendetta mentre si abbronzano alla luce di un sole notturno. Altre che figliano gemelli a tutto spiano, e altre ancora che respirano catrame dentro una grotta giocando a fare le boy-scout.

C’è anche chi finalmente trova il coraggio di essere se stesso, perfino di fronte all’autorità paterna, la sola fregatura è l’imminente fine del mondo, ma non sempre le cose vanno come dovrebbero. Lo sa bene Dio, che non può nemmeno regalarsi un fine settimana di pesca senza che gli umani mandino in vacca la sua amata Terra, soprattutto quando in circolazione ci sono imbranati astronauti senza patente intergalattica.
Per i nostri autori, piove anche durante la fine del mondo. In alcuni casi si tratta di meteoriti, in altri di magiche lacrime di due amanti. Una cosa è certa, nessuno può sapere in anticipo quale sarà la propria reazione, e così malgrado i morti e la distruzione capita che il bisogno di regole porti i superstiti a restare ordinatamente in fila tra le macerie così come altri decidano di spaccare crani come si potrebbe fare con una noce di cocco. C’è chi racconta il macabro con colore ed eleganza, anche se il bello, per alcuni, arriva migliaia di anni più tardi, in un futuro così lontano da sembrare irraggiungibile. Un futuro in cui Bolle Papali sul cataclisma sono diventate ormai reperti archeologici e dove le nuove civiltà guardano con sospetto ogni sopravvissuto alla Voragine Definitiva, quella in cui un padre ignaro e un po’ fesso gettava sedie per diletto dei propri figli.
Le buone abitudini, però, restano. Come quella di banchettare felicemente. Anche se qualcuno preferisce del semplice pane e acqua alle prelibatezze offerte, instillando nel lettore il sospetto che alcuni enigmi siano destinati a restare per sempre irrisolti.

Vi starete chiedendo io cosa ho scritto. Da buon estimatore del genere femminile, nel mio racconto dal titolo “Comandamento Numero Uno” ho parlato di sesso. Il titolo è un chiaro riferimento ai Dieci Comandamenti, in particolare al comandamento che recita "Non commettere atti impuri". Un cattolico in perenne conflitto con i propri dogmi come me si è posto il problema della procreazione dopo la fine del mondo. Ho immaginato i nuovi capi come dei prelati nazisti. Non dico altro.

Ma vediamo tutti i racconti.
27 giugno 1973 di Marco Scaldini
Una cosa è sicura, Marco Scaldini è un vero appassionato di atletica, come pure appassionato di tale Marcello Fiasconaro, primatista degli 800 metri piani nel 1973, di cui io ignoravo l’esistenza. Il racconto è ben scritto e originale la trovata con la quale il protagonista cerca di eludere gli alieni, un po’ tordi, bisogna dirlo.
Viaggio alla fine del mondo di Marco Migliori
Protagonista del racconto è un bambino come anche sua è la voce narrante. Attraverso i suoi occhi ancora puri e ingenui, anche la fine del mondo assume la forma di un gioco mentre intorno a lui tutto si disgrega.
20.12.2012 di Aurelio Raiola
Assumere Aurelio Raiola lontano dai pasti. Ho letto il suo racconto durante la colazione e lo zabaione, per le inaspettate risate, mi è andato di traverso. Raiola inventa e non si riesce a capire dove voglia andare a parare, ogni periodo è una sorpresa. Sorpresa condita da risate, rigorosamente all’ombra del Vesuvio.
Le cose da salvare di Giovanni Stoto
Inaspettato e romantico Stoto in questo racconto in cui la famiglia è in primo piano. Sì, tra le cose da salvare, alla fine, le sole importanti sono le vite delle persone care. Tutto il resto perde importanza. Protettivo. Rassicurante. E come sempre, davvero ben scritto.
L’ultima notte al mondo di Alessandra Gaggioli
La Gaggioli ci ricorda che ognuno ha un proprio mondo e quindi ognuno ha una propria fine. Una fine alla quale segue un inizio. Il suo è un messaggio di speranza, invece di disperarci per ciò che perdiamo dovremmo guardare con curiosità ciò che arriverà.
Una lettera a Vostro Onore di Roberto Riccardi
La fine del mondo può essere l’occasione per confessare l’inconfessabile. Una confessione che in questo caso emoziona. Colpisce duro. Un boato silente che esplode nell’anima con rabbia, fragilità, amore, risentimento. Ed ecco che tutto si può dire, anche ciò che sembrava impossibile.   
Cronaca di un’apocalisse annunciata di Alessandro Bastasi
La sferzante ironia del racconto conquista attenzione e sorrisi. Originale, e creativo Bastasi rielabora il tema dell'Apocalisse costruendo il tutto sui dialoghi. Operazione complicatissima e riuscita. Ben pochi riescono a destreggiarsi con i dialoghi, Bastasi è uno di questi “pochi”. Incipit che cattura senza mai mollare la presa.
Wakham di Marco Sisi
Per Marco Sisi non ci sono catastrofi naturali né alieni. L’uomo fa tutto da sé. È il solo racconto che mi ha lasciato l’amaro in bocca. Succede sempre quando un evento narrato è realistico e possibile. Una fine del mondo che viaggia inesorabile sui media lasciando tutti noi, inermi spettatori della follia di pochi uomini.
Chi ha detto che i topi non mangiano formaggio? di Fausto “Falconiere del bosco” Marchetti
Poesia. In questo racconto l’attenzione è spostata sulle emozioni. L’ambientazione è campestre. Il protagonista è un uomo semplice, di quelli capaci di dare un colore nuovo alla realtà, di offrire una via di fuga dal razionale, di far riflettere sognando. Anche sulla fine del mondo.
Ogni venerdì di Marco Proietti Mancini
Fine del mondo romantica e intima. Come sempre la sua scrittura induce domande sulla propria esistenza. Marco ci chiede quale è la fine del mondo che affrontiamo quotidianamente, una fine molto più angosciante di quella dei Maya perché induce piccole incessanti mortificazioni che ci auto infliggiamo.  
Mezzogiorno di Pierpaolo Turitto
Racconto “magico” per Pierpaolo Turitto. Ancora un’ulteriore interpretazione della fine del mondo. In questo caso una fine eterna capace di ripetersi all’infinito contraddistinta da un amore che l’emblema di tutti gli amori, quelli contrastati dal fato. Un fato beffardo, ma forse anche generoso.
Fine del mondo in 3D di Ulissa Erre
La sconosciuta Ulissa Erre sa scrivere bene. E sa strappare anche qualche risata. Spesso ci si chiede perché debba esserci la fine del mondo, la risposta è una sequela di giuste quanto scontate  motivazioni. Ulissa è riuscita a dare brio e vivacità a questa risposta, sorprendendo il lettore nel finale.
Lui tornava a casa di Stefano Olivieri
Alternanza di ruoli in questo racconto. Due i protagonisti: lui, extra comunitario alla ricerca di un luogo dove fermarsi e lei, laureanda con una vita agiata alle spalle. Vite che si incrociano a ridosso della fine del mondo, e forse è più di un semplice sfiorarsi.
Alla fine sempre in coda di Carlo Vecchiarelli
Ininterrotto flusso di coscienza del superstite al cataclisma. Linguaggio forbito, pieno. Una lettura non per tutti i palati. Una scrittura che agli antipodi con quella del racconto che segue. Una scrittura quella di Vecchiarelli che funziona. Interessanti considerazioni sul collasso sociale e sulla natura dis-umana.
Il giorno in cui Camilla ed Ettore salvarono il mondo di Carlotta Borasio
Come dicevo, la scrittura di Carlotta si contraddistingue per una apparente semplicità che altro non è che la capacità di far calare il lettore nella narrazione facendolo sentire a casa. L’autore scompare, rimangono i protagonisti, in questo caso bambini, quanto mai reali e a più dimensioni.
Il buco con la terra intorno di Fabio Assumma
Grazie a Fabio per la sua comicità. Ci voleva qualche risata a questo punto dell’antologia. Il suo racconto sembra essere una scena del mitico film di Mel Brooks, “Balle spaziali”. Dialoghi surreali e situazioni folli. Il tutto ambientato in una navicella spaziale con due protagonisti pazzi.
Il silenzio perfetto delle ultime cose di Fabrizio Billero
Un appartamento, la fine del mondo e un uomo. I suoi pensieri, la paura continuamente stigmatizzata ma onnipresente. L’intima angoscia, il desiderio di sfuggire al presente, la rassegnazione, la sconfitta. Il tutto legato non alla fine del mondo ma alla propria vita. Una vita di silenzi che alla fine si sposa con il silenzio perfetto delle ultime cose. Un vero Noir.  
L’immondo dopo la fine del mondo di Giuseppe Astore
Fantasy molto attualizzato. Quasi alla Tim Burton. Scenografico, descrittivo. Costumi geniali. Denuncia di un mondo intossicato. Voglia di emozionare. Una solarità macabra e colorata quella di Storage. (recensione di Federica Gnomo)
Sole notturno di Donatella Righi
Scrittura forte. Dura. Incisiva. La Righi sputa le parole sulla pagina ed è un piacere leggerle. Direi che lo stile supera la storia. Due protagonisti che raccontano la stessa fine del mondo. Una fine che scivola via sulla loro pelle bruciata dal sole notturno perché in loro la sofferenza e il riscatto sono così grandi da andare oltre qualsiasi fine.
La rivoluzione di Vito Ferro
L’idea di un carcere come rifugio invece di una gabbia è originale e densa di simboli. Il tutto sorretto da una scrittura capace e consapevole. Due i protagonisti, due voci diverse: da una parte la speranza e l’inquieta voglia di agire e dall’altre la cosciente maturità. La fine del mondo si sente, si avverte, ma non si vede.
Uguale per tutti di Francesca Montomoli
Claustrofobico. La protagonista si trova in una bara: il mondo dopo la fine annunciata. Ne è cosciente ma scalcia. È la vita che non si arrende. Donna forte, risoluta, piena di risorse. Sono felice che ci sia questo personaggio nella raccolta, per ricordare la straordinaria forza della donna, troppe volte messa nell’ombra, per dare spazio all’uomo.
 
Comandamento numero uno di Sam Stoner
Racconto magistrale, il migliore mai scritto nella storia della letteratura mondiale. Stoner si supera, per stile, struttura e idee. Orwell avrà sicuramente viaggiato nel tempo per leggere questa meraviglia e poi scrivere il suo 1984. La denuncia per plagio ai parenti di Orwell è alle porte.  
Il mondo di sotto di Alexia Bianchini
Visone nerissima e spietata su ciò che seguirà alla fine del mondo. Fine che non è quella delle metropoli ma quella del cuore, dell’amore, della speranza. “Il mondo aveva perso colore” scrive Alexia, in realtà non parla del mondo ma dell’animo umano, irrimediabilmente perso.
Initium Novi Regni Iudeorum di Mario Borghi
La Chiesa. Sempre in mezzo. Anche in occasione della fine del mondo. Insomma, sembra che Dio sia alle dipendenza della Chiesa e non il contrario. Solo i potenti si salveranno tutti gli altri, poveri stronzi senza potere e soldi, creperanno.
 Il pranzo di ringraziamento di Enrico Gregori
Gregori sorprende, inventa, da origine a una società e a un popolo, i Neoviti. Ci ho messo un po’ per “entrare” nel racconto, ma alla fine ce l’ho fatta, impossibile da abbandonare alla prima lettura, la fascinazione che esercita spinge a rileggerlo. Non per tutti i palati, solo per quelli più raffinati. Gregori scomoda la leggenda di kaspar Hauser, enigma non solo del suo tempo ma, a quanto pare, di tutti i tempi.  

giovedì 13 dicembre 2012

Moscow's Fury, il mio tributo al crime

 

 

Moscow's Fury di Sam Stoner
Ebook 2012
Euro 1,99

Atlantis - Lite Editions
ACQUISTA 

 
Dalle mie ombre è nato Kirill Sivanicov, un giovane sbandato che vive le sue giornate nel distretto di Kuz’minki, uno dei quartieri più degradati della capitale russa, fra risse, assunzione di droghe e alcol e sesso occasionale.

Kirill, destinato per nascita a ingoiare merda e per destino a restituirla sotto forma di rabbia. Rabbia che a soli 16 anni lo porta a sfondare il cranio di un infame con una barra di acciaio, e poi di sopravvivere in uno dei più duri penitenziari di Mosca.

Kirill ha la violenza sulla pelle, sono le cicatrici
guadagnate sulla strada in risse e vendette.
Le sue mani sono sporche di sangue, un sangue ostentato con orgoglio, un sangue che gli permette di essere rispettato e salire di grado nella scala sociale della delinquenza di Kuz'minki, di avere tutte le donne che vuole e i gioielli che desidera.

In quel lembo disperato di terra dove vive, uccidere è il solo modo di sopravvivere, ma non sempre le cose vanno come dovrebbero, soprattutto se nel suo cuore resiste ancora un barlume di amore. Amore per la sorella, sua unica famiglia. È vero, lei si prostituisce per vivere ma è pur sempre sangue del suo sangue e quindi nessuno può mancarle di rispetto, nessuno può farle del male. Pena: la morte. Ed è in questa follia di vendetta che il mondo di Kirill si sbriciolerà in mille schegge letali.
Sam Stoner


 ANTEPRIMA

“Che la mia vita fosse una merda lo sapevo.
Ma non potevo permettere a nessuno di dirlo.
Né potevo permettere a nessuno di incasinarla più di quanto già non fosse.
Mi chiamo Kirill Sivanicov.
Un nome del cazzo, lo so. Ma questo mi ha dato mia madre. Forse perché quando sono nato avevo già la faccia da sbandato che ho adesso. Senza le due cicatrici, però.
Una sul sopracciglio destro a ricordo della mia prima rissa in un bar. L’altra vicino al labbro superiore. Sei punti di sutura messi a caso da un dottore fresco di scuola. Mi aveva preso per un pupazzo su cui allenarsi. Il taglio era il regalo di uno dei vecchi. Erano le prime bevute, le prime scopate e le prime risse. Mi sentivo un dio, pensavo di poter mettere a posto tutti. Feci lo stronzo con Anrej. Tempo dieci secondi e mi trascinò giù spingendomi il viso nel fango. Imparai a portare rispetto ai vecchi e soprattutto ad agire e parlare poco. Se devi dare una lezione a qualcuno fallo e basta.
Mosca è la mia città. Ma non è quella dei turisti o dei pezzi grossi che girano con l’autista per le boutique importate dall’Europa sulla Stoleshnikov Lane. È quella che nessuno vuole vedere, popolata da vite a termine. Vite come la mia...”

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(Euro 1,99) 





domenica 25 novembre 2012

RECENSIONI: Chester Himes | Corri, uomo,corri


 
di Sam Stoner
Ciò che emerge dalla lettura di questo splendido romanzo è la minuziosa descrizione di ogni particolare: ambiente, personaggi, atmosfere. Descrizioni che non appesantiscono la lettura ma che anzi la rendono più intensa. Interessante anche il fluire dei pensieri dei personaggi, prede e cacciatori. Un alternarsi di pensieri che delizia. Nessuna azione è compiuta senza l’esauriente esposizione dei motivi alla base di ogni parola e gesto. Il lettore assiste,  senza chiedersi mai il perché. Tutto è spiegato. Eppure, non si riesce mai ad anticipare una battuta o un'azione. Il motivo è semplice, i personaggi sono così reali e profondi da gettare un cono d’ombra sulle loro prossime azioni, seguite poi passo passo da una penna che sembra una macchina da presa.  La loro caratterizzazione è tale che è come se Chimes li scolpisse sulle pagine.
Il ritmo è avvincente, a tal punto da costringermi a divorare tutte le pagine. Non sono riuscito ad abbandonare la lettura.
C’è Woolrich, con la figura di un uomo solo che deve lottare contro eventi avversi e a lui ignoti. Un uomo che non viene creduto, lasciato solo con il proprio incubo.
Harlem negli anni Cinquanta
C’è il razzismo. Forte oggi e presente a tutti i livelli negli anni Cinquanta.
Himes rappresenta la realtà senza forzature.
Interessante la figura delle donne. Chester non crede molto in loro. Pronte a tradire anche il loro amore per una scopata. Già avete letto bene, per una scopata, sesso. Tutto qui l’universo femminile di Himes che prima tratteggia donne coraggiose, forti, indipendenti per poi farle precipitare in un baratro dal quale non possono più riemergere, solo la figura materna si salva. La madre votata al sacrificio per i propri figli.
L’incipit è davvero travolgente. Chester ci regala pagine meravigliose. Pochi potrebbero fare di meglio se non i grandissimi scrittori del passato. Himes  riesce a tenere in sospeso la scena iniziale per un tempo che sembra pari al battito di un ciglio e che invece va avanti per ben 38 pagine.
Grandissimo scrittore . Il crime/noir è suo.


Trama
Testimone involontario di un duplice, brutale omicidio a sangue freddo, il giovane studente nero Jimmy Johnson – che lavora come inserviente notturno in una tavola calda di Harlem – diventa a sua volta bersaglio dell'implacabile assassino, un agente di polizia corrotto e ferocemente razzista che vive in uno stato di perenne ubriachezza. Teatro di questa convulsa caccia all'uomo è una Harlem surreale e iperrealista, una sorta di girone dantesco i cui abitanti si dividono tra cattivi e ancor più cattivi, oltre che una Manhattan mai così ostile e impenetrabile, pronta a respingere chiunque bussi alle sue porte in cerca d'aiuto.


Chester Himes
Figlio di due insegnanti, Joseph Sandy Himes e Estelle Bomar Himes, che in seguito divorziarono, fin da ragazzo dovette constatare la discriminazione razziale quando suo fratello, ferito in un incidente, fu respinto da un ospedale per soli bianchi. Dopo essere stato espulso da una università, nel 1928 fu condannato a una grave pena per rapina a mano armata e fu rinchiuso nel penitenziario dell'Ohio. Lì riuscì a farsi rispettare scrivendo racconti, che vennero pubblicati su riviste dopo il 1931. Nel 1936 fu rilasciato in prova in custodia della madre. Continuò a scrivere e venne in contatto con Langstone Hughes che lo aiutò a entrare nel mondo letterario. Nel 1936 sposò Jean Johnson.
 
 
 
 
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Corri, uomo, corri
Chester Himes
Meridiano Zero (collana Meridianonero)
Euro 8,90
p. 288
Anno 2009 (scritto originale 1957)
Traduzione L. Conti

venerdì 16 novembre 2012

"Natale in noir" per Sam Stoner





Un ad Alessandra Buccheri e Paolo Gardinali, curatori dell'antologia Natale in Noir per aver selezionato il mio racconto "Suicidio e resurrezione" insieme ai racconti di  Vito Bollettino, Sandrone Dazieri, Romano De Marco, Gianfranco Ferrari, Ida Ferrari. Paolo Franchini, Angelo Marenzana, Frank Gordon, Marco Vichi.
L'antologia si può acquistare su Lulu.com.

Buona lettura.
Sam Stoner

venerdì 9 novembre 2012

RECENSIONI:Adam Ross | Mr Peanut


 

2012 © by Sam Stoner

Mr Peanut,  romanzo giallo osannato dalla critica più esigente, ossia da quel manipolo di blogger e giornalisti che celebrano ogni opera incomprensibile. E così Livia Manera sul Corriere della Sera scrive ”Mr Peanut è un libro che ha ambizioni letterarie forti. La sua è una lingua vitale, la sua architettura di rimandi e ripetizioni è nabokoviana, l'abilità descrittiva davvero notevole”
Probabile che Livia abbia confuso il romanzo di Ross con qualche altro libro perché Mr Peanut è un romanzo inutile. Noioso. Confuso.
Molti sostengono che il suo pregio sta nello sviscerare i lati più oscuri del matrimonio. Se è vero che molto spazio è dato alla descrizione delle dinamiche proprie del rapporto a due, è anche vero che Ross descrive, non analizza, butta sulle pagine situazioni casalinghe incapace di esaltare con la scrittura i lati drammatici e ironici propri della vita matrimoniale. Ross sa annoiare come ben pochi autori. Lo testimoniano le decine e decine di pagine sulle quali si dilunga su scene che non portano da nessuna parte.
Non se ne comprende il senso.
Ma tutto sta nel bluff  innescato dalla quarta di copertina e dell’incipit, questo sì, davvero straordinario. Le prime pagine sono contraddistinte da uno stile di scrittura brillante e veloce capace di affascinare anche il più smaliziato ed esigente lettore. La trama promette un romanzo geniale che invece, come la scrittura, naufraga  miseramente nella più totale confusione narrativa e strutturale.
Personaggi che escono dal cilindro, neanche fosse un manuale di magia, coprotagonisti che narrano delle proprie vicende personali del tutto slegate dalla storia principale e che terminano improvvisamente così come sono spuntate fuori.
Adam Ross ha messo sul tavolo elementi di grande fascinazione  che se dosati ad arte  e legati con perizia e genio avrebbero potuto generare un romanzo straordinario, ma solo uno scrittore fuori dal comune avrebbe potuto realizzare questo miracolo.  Non lui. Mr Peanut resta solo un minestrone insipido.
Per quanto riguarda la scrittura c’è il tentativo di scopiazzare Philip Roth, obiettivo ambizioso e al di fuori delle capacità di Adam Ross, anche se gli si deve riconoscere il merito di aver tentato di emulare uno dei più grandi scrittori di sempre.
Posso concludere sconsigliando vivamente la lettura di questo deludente romanzo.
22 euro sono una rapina a mano armata.
 
 
La trama
Adam Ross
Il matrimonio e l'omicidio sono due facce della stessa medaglia, i due lati di un nastro di Moebius che si confondono l'uno nell'altro? Prendiamo David Pepin. David è innamorato della moglie fin dal primo giorno in cui si sono conosciuti - all'università seguivano un seminario sul cinema di Hitchcock - e da allora non ha mai smesso di esserlo: dopo tredici anni, e nonostante la depressione e l'obesità della donna, non riesce a immaginare una vita felice senza di lei. Eppure, allo stesso tempo, non riesce neanche a smettere di immaginare, con ossessiva costanza, la moglie morta: e spesso uccisa proprio da lui. Quando la morte (finalmente?) arriva, David ne è sconvolto: ma non basta questo per toglierlo dalla lista dei sospetti. Si tratta di suicidio, come giura lui, o omicidio - un omicidio che forse lo stesso David ignora di aver commesso? Anche gli investigatori chiamati a risolvere il giallo sono degli esperti di amore e odio coniugale: Ward Hastroll (anagramma di Lars Thorwald: l'uxoricida della Finestra sul cortile) ha una moglie che da cinque mesi non vuole lasciare il letto. Mentre il secondo detective è addirittura Sam Sheppard, il medico che negli anni Cinquanta fu accusato di aver ucciso la moglie, condannato da una giuria fortemente influenzata dalla stampa ostile e solo dopo dieci anni riconosciuto innocente. A questo punto il lettore ha capito che quello che ha tra le mani non è un semplice giallo.
 L’autore
Adam Ross è nato a New York. Suoi reportage e racconti sono apparsi sul «Wall Street Journal», «New York Times Book Review», «The Daily Beast». Mr Peanut (Einaudi 2012) è il suo primo romanzo.
 
Mr Peanut
Adam Ross
2012
Einauidi
Pag. 359
Traduzione Cristiana Mennella

martedì 16 ottobre 2012

Ogni amore tradisce





Leonid Pasternak
  

di Sam Stoner

Da quando ho cominciato a prendere contatti con il mondo editoriale la mia scrittura ha subito una brusca frenata. Ricordo con nostalgia i tempi in cui mi divertivo a scrivere. Già, tempi lontani. Entravo in rete e sfidavo ogni scrittore a fare meglio di me. Sfide su sfide. Un’ora di tempo per costruire un racconto capace di affascinare i lettori. Ricordo le parolacce che ricevevo, così come le lodi. Ricordo il piacere di inventare a briglia sciolta. L’adrenalina che scorreva tra le parole.
Poi è arrivato Facebook, le amicizie con editori, scrittori - non quelli che scrivono ma quelli pubblicati - i giornalisti, i blogger, i critici, gli editor, gli agenti e tutto il carrozzone di cartapesta che si sparla addosso lodandosi, ma che non ha che fare con la scrittura, così come la intendo io. Su Facebook ho perso gli amici con i quali mi divertivo a scrivere, a inventare. Oggi su oltre 1.000 amici solo due sono capaci di riportare a galla quei tempi.
Prima erano molti. Persino quelli che su Facebook sembrano spregiudicati e folli sono solo scimmie ammaestrate. Non valgono un cazzo. Sì, sono proprio disgustato da tutto questo.
Mi piacerebbe confrontarmi con gli altri scrittori, a turno dare un titolo e dopo un’ora mettere on line un racconto da far giudicare ai lettori, ma non lo fa nessuno, sono pubblicati e non si smerderebbero con uno qualunque come me. Sì perché gli farei il culo. O forse loro lo farebbero a me, ma almeno sentirei di nuovo il piacere di scrivere. Piacere che ho perso del tutto.
Non scrivo più per me e nemmeno per chi mi leggerà.
Scrivo per gli editori, per gli editor, per gli addetti ai lavori. Scrivo pensando a cosa possa piacergli. Perché sono loro che decideranno se sarò pubblicato.
E questa non è scrittura, questa è una tortura, una lenta e inesorabile tortura che non voglio più.
Capisco gente come Salinger, McCarthy, Pynchon ritirati da tutto e tutti. È il solo modo per scrivere. Stare lontano da tutti. Però in fondo direte, Ma chi cazzo sei tu per scrivere questa roba? Nessuno. Un coglione qualunque incontrato per caso in questo circo della vita.
Un coglione che si autocommisera e che gode nel mandare affanculo il mondo.

Amen.

lunedì 8 ottobre 2012

RECENSIONI: Cormac McCarthy | Non è un paese per vecchi

Anton Chigurh, il cattivo, in una scena del film dei fratelli Cohen
Per chi non lo conosce, è uno dei quattro grandi autori americani contemporanei insieme a Don De Lillo, Pynchon e Philp Roth.
Non è facile leggere McCarthy. Ma se ci riesci, assapori un gusto unico.
Tra i suoi romanzi questo è il più fruibile, oserei dire il più facile da leggere. Sarà che ne è stato tratto un film di grande successo a firma dei fratelli Cohen: una pellicola fedele al romanzo, capace di riportare sullo schermo l’essenza, lo spirito di questo intenso romanzo.
Il linguaggio adottato da McCarthy è semplice. Già, sembra quasi una bestemmia per chi conosce la sua scrittura, ma ciò che ha fatto è qualcosa di micidiale: elabora una narrazione secca, asciutta e spietata. Niente fronzoli, niente trucchetti. Qualcuno potrebbe obiettare che è facile raccontare una storia in questo modo. Be’, questo qualcuno sarebbe in malafede. Perché non esistono oggi autori capaci di mantenere una tale coerenza di scrittura per 250 pagine. Mai uno scivolone, un solo termine fuori posto, una frase che suoni scontata, un periodo che non mantenga la sua musicalità. Quella del blues più amaro a dodici corde di LeadBelly.
Cormac McCarthy
Qui c’è il sud degli Stati Uniti, e c’è la sconfitta di ogni valore posto alla base della società. Qui c’è il totale sprezzo della vita e della legge, del buon senso e della morale.
La sola voce narrante è dello sceriffo Bell. Un uomo deciso a difendere la propria gente e a mantenere l’ordine sociale. Non perché così gli è stato detto di fare, ma perché è così che deve essere.
Una voce stanca e sorpresa, sincera e comprensiva. Una di quelle voci che sanno come va il mondo, che sanno quando è tempo di far tacere la legge e lasciar correre e quando è necessario far scintillare la stella e la canna zincata della sua pistola. C’è il cattivo, Chigurh: uno dei più spietati cattivi mai incontrati nella storia del Noir. McCarthy non lo glorifica, lo racconta. Un tipo del quale aver paura. “Una persona qualunque” lo descrive un testimone. “Un killer psicopatico”, lo descrive un altro sicario. Uno che si fa arrestare solo per vedere come riuscirà a far fuori i poliziotti e poi fuggire.
E poi ci sono rapporti matrimoniali fuori dall’ordinario, trafficanti di droga, brava gente attratta dal crimine, un mucchio di soldi che passa di mano in mano, una scia di sangue e violenza dalla quale nessuno si salva. Il tutto narrato senza affanno. Come diceva il protagonista del film Gli Spietati, William Munny (Clint Eastwood N.d.A.): per restare vivo bisogna essere freddi, guardare negli occhi chi ti sta davanti e colpirlo, fregandosene delle pallottole che sibilano vicino la testa. E non importa quanti avversari hai davanti, conta solo restare freddi. E questo McCarthy lo sa bene.
Stesso registro per i dialoghi. Sembra che McCarthy utilizzi lo scalpello. Ogni battuta, un nuovo intaglio. Fino a dar forma a personaggi possenti che trasudano onestà. Nessun personaggio sopra le righe. Nessuna parola fuori posto. Le battute sono dette a mezza bocca, non per far sorridere ma perché così si parla nel Texas.

Da leggere.

Trama: Nel 1980, nel Texas meridionale, al confine con il Messico, il giovane Llewelyn Moss, un reduce dal Vietnam, si imbatte, mentre sta cacciando antilopi nella prateria, in un convoglio di jeep colme di cadaveri, di droga e di soldi. Prende i soldi e decide di tenerseli, ma diventa subito la preda di una spietata partita di caccia: inseguito dai trafficanti, da uno sceriffo vecchia maniera, nonché dal solitario Chigurh, un assassino psicopatico munito di una pistola da mattatoio. Moss tenta disperatamente di sfuggire a un destino inevitabile, coinvolgendo per ingenuità la giovanissima moglie.

Cormac Mc Carthy
Non è un paese per vecchi
Einaudi
pag 250
€ 10,80
Traduzione di Martina Testa