lunedì 18 aprile 2011

EL GRINTA



di Sam Stoner

Il West.
Così come deve essere.
Sporco. Ruvido. Cattivo. E capace di prendersi per il culo.
Che agghiacciante piacere vedere bambini applaudire allo spezzarsi del collo degli impiccati, come pure vedere il West nei catarrosi sputi sulle assi di legno sudice e scricchiolanti dei portici di Fort Smith, dove si ammazza per non essere ammazzati, dove si ammazza per soldi, dove si ammazza per aver infranto la legge. In quel lembo di Frontiera, la vita non vale niente, anzi sui cadaveri ci si ride. 
Chalrles Portis e John Wayne
Tutto questo è possibile grazie ai Cohen, capaci di prendere il romanzo di Charles Portis (True Grit, romanzo a puntate uscito per la prima volta nel lontano 1968 sul Saturdat Evening Post e pubblicato in Italia da Giano Editore) e soffiarci dentro la vita.
Sì, perché questo è l’adattamento di un romanzo, non un remake.
El Grinta dei Cohen non è un lifting al volto segnato di Frontiera del Duca (John Wayne, protagonista del film di Hathaway del 1969 n.d.r.).
No, si tratta di un noir alla Donald Westlake o alla Elmore Leonard. Un noir che si prende davvero poco sul serio. Un risultato cinematograficamente perfetto che poteva essere vanificato. I due fratelli, infatti, dovevano maneggiare il sacro West, e le cose avrebbero potuto complicarsi non poco se avessero spinto il pedale verso la loro ben conosciuta surreale comicità nera. E invece hanno dato solo un lieve tocco “Cohen” alla già ironica lettura del West di Portis. Già, perché Portis ama e sbeffeggia il West in egual misura. Basta dare un’occhiata alla copertina originale del suo romanzo del ‘68, che invece di pistoleri, sceriffi e pallottole vede ritratta una ragazzina, la stessa che nel film ha il volto di Hailee Steinfeld. E che mette in riga con le sue taglienti parole pistoleri, ranger e uomini di legge. La sua interpretazione magistrale viene esaltata dai dialoghi, feroci e spumeggianti, ironici e duri.
Sono molte le letture di questo capolavoro, c’è il Cinema, quello con la C maiuscola: dialoghi, appunto ma anche le puntuali musiche di Carter Burwell, la fotografia decisamente noir di Roger Deakins, scenari notturni da togliere il fiato, atmosfere fiabesche e colpi di scena spietati.
Ma è l’anima del film, che tutto trascina verso il sublime, è l’anima nobile della Donna incarnata dalla Steinfeld.
Jeff Bridges, invece, è l’anima nera e cialtrona. Quella che usa la legge per ricavarci quel che può ma che ha un cuore, anche se ben nascosto sotto il fetore del sudore, dell’alcol e del cinismo. Un cuore che proprio la ragazzina riuscirà a scovare e portare alla luce.
Come del resto accade ogni giorno tra uomini e donne, fin dall’inizio dei tempi. Quella stronza di Eva a parte, ovvio.
Molti hanno parlato di El Grinta come di un western classico, ma non si vede un saloon, emblema della filmografia western. La verità è che ai Cohen non serve, loro dipingono il loro West, ed è un West che rimane dentro.
Evidente, e apprezzabile, l’omaggio dei Cohen al più grande western mai realizzato: Gli spietati, di e con Clint Eastwood. I Cohen, infatti, chiudono El Grinta ricostruendo la stessa scena che apre e chiude Gli spietati. A voi scoprire quale.

I Cohen hanno studiato.
Corbis li ha elettrizzati e ispirati.
Una sola visione non basta.
Non si raggiungono le “dovute” cinque visioni degli Spietati, ma almeno due sono d’obbligo.

Copyright 2011 © by Sam Stoner

SCHEDA FILM
REGIA: Joel Coen, Ethan Coen
SCENEGGIATURA: Joel Coen, Ethan Coen
SOGGETTO: Dall'omonimo romanzo di Charles Portis che fu già alla base del western con John Wayne
ATTORI: Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Josh Brolin, Matt Damon, Barry Pepper, Paul Rae, Jarlath Conroy, Domhnall Gleeson, Elizabeth Marvel, Ed Corbin, Dakin Matthews, Joe Stevens, Leon Russom, Mary Anzalone, Bruce Green (II), Brian Brown, Mike Watson

FOTOGRAFIA: Roger Deakins
MONTAGGIO: Roderick Jaynes
MUSICHE: Carter Burwell
PRODUZIONE: Scott Rudin Productions, Skydance Productions
DISTRIBUZIONE: Universal Pictures Italia
PAESE: USA 2010
GENERE: Drammatico, Western, Avventura
DURATA: 110 Min
FORMATO: Colore 2.35 : 1 Sito Italiano
Sito Ufficiale



SCHEDA ROMANZO
Charles Portis

Titolo: Il Grinta
ISBN 978-88-625-1077-6
Pagine 190
Euro 15,00
Collana: Blugiano
Link Editore






martedì 12 aprile 2011

L'Italia e il suo Noir da baretto


di Sam Stoner

Tutti parlano di globalizzazione, di contaminazioni, di abbattimento dei stantii confini.
In Italia, però, nel Noir si vuole affermare il Noir italiano.
E cos’è il Noir Italiano?
Ma soprattutto, c’è davvero l’esigenza di un Noir italiano?
In ambito letterario, l’Italia dovrebbe essere conosciuta nel mondo grazie a scrittori con i contro cazzi eredi di Dante, Boccaccio, Pavese. Certo, c’è chi dice che La Divina Commedia sia uno dei più grandi Noir, come lo sono le tragedie di Shakespeare e Sofocle, per non parlare di Kleast.
Ma se è così, mi chiedo: come si fa a chiamare noir le solite stronzate con il solito sfigato ispettore con il vezzo di artista che ama la cucina e non ha famiglia? Forse ne ha parlato Dante e non me ne sono accorto?
La verità è che il Noir italiano non esiste. E se continuiamo di questo passo diventeremo una macchietta ridicola agli occhi del mondo. Il nostro Noir sarà “avvertito”, “sentito” come gli ormai stereotipati “pizza e mandolino” o “mafia e spaghetti”; il Noir invece dovrebbe avere radici nella Cultura e nella Storia italiana, in questa che è la culla della Civiltà mondiale. Un Noir capace di reinterpretare l’anima italiana, anche se si tratta di un racconto ambientato in Cambogia.

Sembrerebbe migliore la situazione del poliziesco italiano.
Certo le radici qui ci sono, basta dare un’occhiata al secolo scorso Gadda, Sciascia, Scerbanenco. Ma nel ventunesimo secolo dove sono i giovani autori (sotto i cinquanta/sessanta) capaci di raccogliere l’eredità di questo terzetto?
Ed ecco che tra gli scaffali si trovano polizieschi confusi ed edulcorati, molti dei quali non resistono a farci la morale, mandarci un “messaggio” positivo. Un poliziesco buonista persino di fronte ai serial killer, buonisti anche loro, ovviamente; mai sanguinari come quelli che ci regala la cronaca e che farebbero mangiare la polvere ad Hannibal.
Di fronte a questa farsa, sarebbe meglio disseppellire il poliziesco italiano del novecento, persino quello cinematografico di Maurizio Merli e Franco Nero, quello bastardo, scoglionato, stronzo, cialtrone e sanguinario. Il poliziesco Nostro, riconosciuto persino da Quentin Tarantino. In Italia abbiamo più di un paio di scrittori capaci di farlo rivivere, ma non si applicano, forse distratti dalle richieste di editor che farebbero bene ad andare a vendere collanine sulla spiaggia invece che scaldare i loro inutili culi su poltrone inadatte ad ospitarli.

Alle nuove leve del Noir/Poliziesco italiano, come già detto, viene richiesto, sempre e comunque, di sfornare racconti e romanzi ancorati alla tradizione italiana. Non quella letteraria o culturale nobile, come accennato, ma quella del cortiletto o del baretto, della piazzetta, del paesello italiano (purché non ci si avvicini a Sciascia, per carità. C’è bisogno di novità!) cancellando con un colpo di spugna secoli di Sacro Romano Impero con una Roma capace di regnare sul mondo, annullando le imprese di Colombo, le opere di Leonardo, Michelangelo, Bernini, il Rinascimento, addirittura il più recente neorealismo del dopoguerra e persino, udite, udite, Isabella Santacroce. Che il cielo li perdoni!
Nessuno sa quale sia questa “tradizione Noir italiana”. Si sa soltanto che bisogna onorarla, servirla e ficcarla nei racconti e romanzi. E allora ecco che questi poveri cristi di nuovi scrittori forzano la loro scrittura verso i più beceri stereotipi italiani: i dialetti. Cazzo, questi sono italiani. La cucina. Cazzo, questa sì che è italiana. E via di questo passo, procedendo alla cieca.

Negli USA chiedono Thriller, Noir, Hard Boiled, Mistery e non importa dove sono ambientati e chi è il protagonista, purché ci sia la Storia o il personaggio. E sfondano. Non a caso tra i migliori racconti Mistery Usa si trova sempre almeno un racconto ambientato all’estero e con protagonisti stranieri o addirittura scritti da stranieri che si sono trasferiti in territorio statunitense; un esempio è Garry Graig Powell, cresciuto in Inghilterra e negli Emirati Arabi. Un suo racconto ambientato a Dubai e con protagonista una cinese è stato selezionato da Jeffrey Deaver (quello a cui leccano le chiappe quando stringe la mano a Faletti per ringraziarlo di tradurre i suoi romanzi in italiano e poi metterci il suo nome) per l’antologia The Best American Mystery Stories 2009.

Qui da noi, invece, se uno scrittore italiano ha la fortuna di crescere in Europa (a mio immodesto avviso, per evitare lo scimmiottamento del Mystery americano basterebbe richiedere Mystery di ambientazione Europea) e decide di ambientare un racconto a Bruxelles, può anche chiuderlo nel cassetto, a meno che non lo trasferisca nella… Ludigiana. Mica si scherza.
Qui si tratta di grandi teste di… che guidano l’ambiente editoriale Noir italiano. Scusate, non grandi teste, ma piccole, provinciali. Anzi, rionali.
Perché non dobbiamo dimenticarci che qui in Italia siamo… globalizzati. Anche nel Noir.

A frate’, fammene ‘n’artro che ciò la gola secca. ‘sta cazzo de convescion italiana de noir nun finisce più. Quest’anno pe’ fa’ le cose in grande, se so presi er baretto. Li mortacci loro…”
Copyright 2011 © by Sam Stoner