Con “Fine Turno” Stephen King chiude la trilogia dedicata al genere poliziesco


«Per le legioni dei suoi fan, fine turno, combinazione tutta kinghiana di horror e mystery, è il finale perfetto della trilogia di Bill Hodges.»
In “Fine Turno” (End of Watch) capitolo finale della trilogia poliziesca di Stephen King, il Re torna sul sentiero che lo ha reso il più grande scrittore vivente ossia il paranormale pur avendo iniziato questa serie in puro stile hard boiled
con “Mr Mercedes” nel 2014 e continuato sulla stessa linea narrativa con “Chi Perde paga” (Finders Keepers) del 2015.
In “Fine Turno” ritroviamo tutti i protagonisti, la squadra dei buoni capitanata dal detective in pensione Bill Hodges affiancato dall’eccentrica Holly Gibney e il giovane universitario Jerome e supportati dal detective Pete Huntley, ex compagno di Hodges e ancora in servizio.

Il cattivo è sempre lui,  Brady Hartshield, dopo essersi scagliato al volante di una Mercedes sulla folla in attesa di entrare alla Fiera del Lavoro di una cittadina americana colpita dalla crisi economica nel primo romanzo, dopo aver cercato di far saltare in aria uno stadio pieno di ragazzini per il concerto di una boy band nel secondo, ritorna anche in questa terza puntata.
Pur essendo confinato all’interno di una camera d’ospedale in stato semivegetativo, a seguito del colpo sulla testa sferrato da Holly Gibney con una sacchetto pieno di biglie di acciaio alla fine del secondo romanzo, Brady sfida di nuovo il mondo architettando un piano per far suicidare centinaia di ragazzi. Chiunque si chiederebbe come sia possibile. È qui che entra in scena il genio di Stephen King capace di legare due generi apparentemente estranei come il paranormale e il poliziesco. L’aspetto intrigante è che le prime morti che si verificano non sono presentate come “inspiegabili” e quindi chiaramente attribuite a una sfera paranormale ma al contrario hanno tutto l’aspetto di suicidi e uccisioni con una chiara matrice terrena. Solo l’istinto del detective Hodges e quello della nevrotica Holly Gibney  suggeriscono qualcosa di diverso e quindi portano i due a investigare trovando indizi “diversi” rispetto a quanto suggerito inizialmente dalla scena del crimine.

Tornando al cattivo dei cattivi Brady, mente 
criminale di questo ultimo capitolo della trilogia,
ecco come Stephen King riesce a riportarlo in pista anche se nei primi capitoli è solo un vegetale catatonico. Il primario di neurologia dell’ospedale, il dottor Babineau, decide di propria iniziativa di somministrare a Brady dei farmaci sperimentali mai testati prima sull’uomo. I farmaci innescano non solo un recupero fisico e intellettivo ma donano a Brady anche facoltà paranormali, in particolare la capacità di penetrare nella mente altrui. Il corpo di Brady  è fermo nella camera d’ospedale ma la sua mente può comunicare e muoversi agilmente in altri corpi: dottori, portantini, infermiere, marionette che Brady comanda a proprio piacimento. Il piano di Brady prende forma lentamente, anche lui sorpreso di queste facoltà si chiede cosa farci. La risposta arriverà attraverso un gioco elettronico messo a sua disposizione che sembra avere un effetto ipnotico. 

Chiara è la critica di Stephen King nei confronti dell’abuso di questi giochi e della loro potenziale pericolosità legata alla dipendenza da parte dei più giovani. Brady sfrutterà questo elemento in modo geniale per organizzare il proprio piano criminale, tanto subdolo quanto efficace. Altro aspetto critico presente nel romanzo riguarda il rapporto tra la società e gli adolescenti, in particolare il modo in cui quest’ultimi vengano colpevolizzati nel non aderire a precisi modelli. King parla di obesità adolescenziale, di omosessualità, di status sociali, di doveri imposti. Una società non ancora in grado di accogliere chi si allontana da utopici ideali, pronta a soffocare la libera espressione della propria personalità, qualunque essa sia. Brady sfrutterà anche questo elemento a proprio vantaggio.

Un romanzo poliziesco, questo di King, che però si innesta su un tessuto sociale e psicologico forte, che non viene mostrato o descritto bensì utilizzato dal cattivo. Piccoli collassi di una società che potrebbe implodere su se stessa. Tematica spesso affrontata da King nei suoi quaranta anni di carriera e che come al solito mostra attraverso un caleidoscopio di personaggi e situazioni che innescano una miriade di storie nella storia.

La tensione resta alta fino all’ultima pagina, come anche il ritmo, mai un calo in 496 pagine. Il titolo, “Fine turno”, non solo fa riferimento al finale della partita tra bene e male giocata tra Bill Hodges e Brady Hartshield ma anche allo stato di salute del detective in pensione affetto da un male che si rifiuta di accettare immolandosi in questa battaglia senza prendersi cura di sé. Come un cavaliere solitario, salta in sella per andare incontro al proprio destino incurante di ciò che sarà della propria vita.

Una trilogia epica, resa tale dai suoi personaggi e da un cattivo degno di essere tra i cattivi celebri di Stephen King da Pennywise a Jack Torrance, da Annie Wilkes a  Leland Gaunt. Tuttavia Brady si distingue per essere apparentemente un bravo ragazzo con un sorriso sincero e perché sappiamo tutto di lui, la sua nascita, l’adolescenza, il rapporto con la madre e i suoi luoghi oscuri che emergono lentamente fino a renderlo uno spietato assassino. Un killer proiettato nell’informatica (un piccolo genio universitario) contrapposto a un detective settantenne, pragmatico, vecchio stampo, incapace persino di usare un cellulare che però avverte che qualcosa non va come dovrebbe. L’istinto contro l’intelletto. Un’altra delle numerose letture che il Re ci offre. 

Come anche il diverso approccio alla malattia, da una parte c’è Brady che esce dal coma grazie a farmaci sperimentali e dall’altra Hodges che addirittura rifiuta cure di base come se già sapesse che non c’è nulla da fare.
Riguardo a quest’ultimo punto c’è da evidenziare come Stephen King negli ultimi anni inserisca sempre personaggi affetti da malattie che li conducono alla morte. (ne ho parlato nella mia recensione su “Revival”). Trovo questo aspetto singolare e ripetitivo. Soprattutto in un romanzo poliziesco nel quale la morte efferata del protagonista è quello che ci si aspetta come nella migliore tradizione di genere. Ma volendoci allontanare dal poliziesco e il crime basta fare riferimento alla produzione di King per rendersi conto che un simile stratagemma gli è sempre stato estraneo. Qualcuno dice che sia perché ha superato i settanta anni. Quale che sia la ragione mi auguro che la finisca qui, questa nota melodrammatica è ridicola sia per il poliziesco che per il paranormale e l’horror.  

Una menzione a parte merita il capitolo finale immerso in una tempesta di neve in una isolata riserva naturale con ovvi rimandi a Shining ma anche allo splendido racconto “Il bicchiere della staffa” presente nella raccolta “A volte ritornano”. Un King che può anche prendersi il lusso di citarsi, con la sua abituale ironia, sapendo che molti suoi romanzi sono ormai classici della letteratura dai quali attingere spunti per ulteriori sviluppi.

È in preparazione una miniserie televisiva affidata alla regia di Jack Bender, filmaker che si è precedentemente occupato di opere quali “Lost” o “Under the Dome” la cui uscita è prevista nel 2018. La serie vedrà il carismatico Brendan Gleeson (Harry Potter n.d.t.) nei panni del Detective Kermit “Bill” Hodges. Il romanzo è dedicato a Thomas Harris.

Lo scrittore
Stephen King vive e lavora nel Maine con la moglie Tabitha e la figlia Naomi. Da più di quarant’anni le sue storie sono bestseller che hanno venduto 500 milioni di copie in tutto il mondo e hanno ispirato registi famosi come Stanley Kubrick, Brian De Palma, Rob Reiner, Frank Darabont. Oltre ai film tratti dai suoi romanzi, vere pietre miliari come Shining, Stand by me – Ricordo di un’estate, Le ali della libertà, Il miglio verde – per citarne solo alcuni – sono seguitissime anche le sue serie TV, ultima in ordine di apparizione quella tratta da 22/11/’63. Recentemente King si è dedicato ai social media e in breve tempo ha conquistato oltre un milione di follower su Facebook e soprattutto su Twitter. Per i suoi meriti artistici, il presidente Barack Obama gli ha conferito la National Medal of Arts. (la più alta onorificenza ad un singolo artista conferita in nome del popolo americano) con questa motivazione: “King è uno degli scrittori più popolari e prolifici dei nostri tempi poiché riesce a combinare la narrazione con la sua acuta analisi della natura umana.”

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Titolo Originale: End of Watch
Anno: 2016
Data di pubblicazione ITA: 11/10/16
Data di pubblicazione USA: 07/06/16
Casa Editrice USA: Scribner
Casa Editrice Ita: Sperling & Kupfer
Traduzione: Giovanni Arduino
Pagine: 496


Prezzo di copertina: 19,90€