domenica 28 novembre 2010

NEW YORK - Itinerari di viaggio di Sam Stoner



















New York.
La città più rappresentata al cinema.
La più amata e la più odiata. Simbolo del consumismo e del sogno americano.
Almeno una volta nella vita, tutti abbiamo manifestato il desiderio di visitarla. Per capire, per stupirci, per vedere dove nasce ogni fenomeno sociale, modaiolo, musicale, politico, artistico.
La New York della quale vi parlerò è quella nascosta, fuori dalle guide ufficiali, ma anche quella più vicina al cuore della Grande Mela. Una New York complice, ruffiana, ammiccante, una donna che sa di essere bella e che non ha bisogno di ostentare la sua bellezza. Bellezza che poche settimana fa, si è arricchita di un prezioso cameo:
Eataly, oltre 6.000 metri quadrati dedicati all’eccellenza enogastronomica italiana sul tetto del Toy Building, un palazzo fine Ottocento di fronte all’iconico grattacielo Flatiron, nel cuore di Manhattan, all’angolo tra Quinta a 23esima. Qui gli americani possono finalmente mangiare i veri spaghetti al pomodoro, fatti con i pelati San Marzano, pochissimo aglio e zero cipolla. Un piatto di pasta costerà sui 12 dollari, un'orata alla griglia 18, una caprese – con la mozzarella fatta "dal vivo", sotto il naso degli avventori – a partire da 9 dollari. La pasticceria è un viaggio nei dolci regionali, descritti nella cartina italiana sulla parete: si va dai sospiri pugliesi ai cannoli siciliani, dal tiramisù piemontese alla pastiera campana. «Non vogliamo che si venga qui per mangiare e basta», spiega lo chef Batali, «ma che si venga, si assaggi e poi si faccia la spesa». Gli scaffali, infatti, sono pieni dei prodotti italiani di qualità (la pasta di Gragnano, le pastiglie Leone, il cioccolato Venchi e Novi, le marmellate, i biscotti, l'olio extravergine, i vini ecc.), con il pane cotto in giornata.
In caso di spesa, vi consiglio di munirvi di un folding shopping cart, un orribile, fuori moda e utilissimo carrello pieghevole (costo 25 dollari). A New York si usa poco l’auto e, a parte lo Store di Eataly, nei supermercati le confezioni sono giganti. Tanto per fare un esempio, l’acqua si vende in contenitori da 1 gallone e cioè da 5 litri. Senza lo shopping cart mettete a rischio la schiena, per non parlare del vostro look, sciolto sotto al sudore.
Per chi, come me, fosse un amante del Brownie (non me ne vorrà l’amato Tiramisù), c’è una tappa obbligata: il Chelsea Market, il grande mercato di lusso dove si trova la Fat Witch Bakery, che vende solo Brownies. Il brownie normale costa $2.85, ma c’è un trucco per risparmiare, basta chiedere di avere il vostro Brownie, “unwrapped” ossia non confezionato. Sempre che lo divoriate appena usciti dal negozio. In questo modo potete comprare il brownie normale a solo $1.50. Oppure potete darci dentro con gli assaggini gratuiti che sono vicino alla cassa. Non siamo in Italia, nessuno vi riprenderà perché ne avete ingurgitati 6 o più. Fidatevi.
Gli amanti del musical non potranno perdere l’evento della stagione “Spider-Man, Turn Off The Dark” in scena a Broadway, al Foxwoods Theatre, da metà novembre. Testo e musiche di Bono e The Edge degli U2. Affrettatevi a comprare i biglietti, si preannuncia il tutto esaurito.
Mentre chi predilige i classici non potrà mancare l’appuntamento al Broadhurst Theatre con il dramma shakespeariano Il mercante di Venezia che avrà come protagonista il leggendario e ancora affascinante, udite-udite, Al Pacino. L'attore interpreterà solo 78 performance dal 19 ottobre al 9 gennaio 2011. Da pochi giorni il teatro ha iniziato la prevendita dei biglietti al prezzo di 149 euro.
Per chi desiderasse passare una sera romantica o con amici con musica dal vivo, tappa obbligatoria è il Bar-Ristorante di Jason Stevens (l’uomo che ha rifiutato il posto da vice presidente della Merryl Lynch per dedicarsi al settore della ristorazione) situato al 147 Front Street. Time Out New York, lo ha definito il santuario dell'arte del mangiare e bere, arricchito da un vero cameo, il reRun Theatre. Si tratta di una sala cinematografica dove le classiche poltroncine sono sostituite con 60 sedili posteriori recuperati da mini van abbandonati. Una sorta di drive-in, ma senza auto, all'interno di un locale che ricorda l'esterno di un edificio, con mattoni e graffiti. Qui si può assistere a film di culto e indipendenti che non troverebbero spazio in altri teatri newyorkesi.
Se non potete fare a meno di acquistare t-shirt il vostro “paradiso” si trova al quartiere NoLita, al 227 di Mulberry Street, dove da poco ha aperto "Scout Vintage T-shirts", un negozio interamente dedicato alle t-shirt vintage. Ce ne sono a migliaia, tutte divise per colore, da quelle sportive a quelle souvenir fino a quelle rarissime dei concerti degli anni '70. Memorie d'altri tempi, per collezionisti e curiosi.
Non poteva mancare l’arte, in questo caso la fotografia con il maestro Lee Friedlander, al Whitney Museum (www.whitney.org) con la mostra “America By Car”, che attraverso i suoi scatti ci guida, come ha scritto Karen Rosemberg sul New York Times, attraverso le ossessioni e le eccentricità degli Stati Uniti all'inizio del ventunesimo secolo utilizzando gli specchietti laterali, lo specchio retrovisore, il parabrezza e i finestrini come cornici entro le quali immortalare i riflessi di bar lungo la strada: motel, chiese, monumenti, ponti sospesi, essenziali paesaggi americani, e spesso, anche la sua stessa immagine. La mostra chiuderà il 28 novembre 2010.

Pubblicato sul periodico Eur la città nella città n° 4 -2010

© 2010 by Sam Stoner

mercoledì 24 novembre 2010

La moglie di un pedofilo

Francesca ha 10 anni.
È figlia unica. Vive con i genitori a Palermo.
Una sera di luglio va con i genitori a casa di amici. Finita la cena Francesca entra in bagno, chiude a chiave la porta, apre la finestra e si getta nel vuoto.
Si schianta al suolo dopo un volo di 7 piani.  
La polizia.
Una lettera.
La verità.
Il padre la violentava da anni.
Si era confidata con la mamma la settimana prima. La mamma l’aveva sgridata. Non permetterti più di dire certe cose di tuo padre!
Quella sera di luglio la piccola decide che non sarebbe tornata in quell’inferno chiamato casa. Meglio la morte a quella atroce tortura.
Io vedo i suoi occhi.
La vedo in nel bagno in quegli attimi che precedono il volo. Riuscite a vederla? Siamo lì con lei.
Il suo viso guarda il vuoto che si apre fuori della finestra. Non ha alternative Francesca. Dietro la porta del bagno la follia dell’orrore, di qua la morte. La sola capace di porre fine a tutto. Una decisione disumana, così grande per una bambina così piccola. Così sola.
Quando si viene al mondo si può contare solo su una cosa, la propria famiglia. Ma quegli occhi vedevano un mondo esterno sconosciuto e una famiglia che continuava a lacerarla e distruggerla.
Ecco il volo. E la fine del dolore.

Devo e tutti voi dovete puntare il dito contro quel gran figlio di puttana del padre. E risparmiatevi le solite disgustose disamine riguardo le ragioni che hanno lo hanno portato a violentare la figlia. In questa storia la vittima è una sola, e in questo momento i resti del suo corpo sono sottoterra. Le persone rimaste in vita sono i carnefici!
Ma i protagonisti non sono soltanto due, Francesca e quel pezzo di merda del padre, ma tre…
La terza protagonista è la mamma di Francesca.
Lei avrebbe dovuto difendere la figlia.
In natura non c’è bestia più feroce di una femmina che difende i propri cuccioli. Gli animali lo sanno. Gli esseri umani no.
Vedo lo sguardo della mamma mentre è a letto. Anche voi lo vedete. Siamo tutti lì, dentro quella casa. È sera. La cena è stata consumata e seguita dalle due, tre ore di programmi televisivi. Tutto scorre nella normalità, come in ogni famiglia. Il marito è accanto alla moglie. Tutto è normale fino a quando lui si alza e va nella stanza della figlia.
La moglie sa.
Finge di non sapere.
Lei continua a vedere la televisione.
Lei è incazzata perché quella sgualdrina della figlia gli ruba l’uomo.
Poi, il solito straccio di difesa. La sola che può avanzare: “Mio marito è più forte, cosa potevo fare?”
Tutto poteva fare. Vi chiedo: per chi, se non per un figlio si può rinunciare alla propria vita? Avrebbe dovuto mettersi davanti alla figlia e prendere botte fino a morire… ecco cosa avrebbe fatti un qualsiasi genitore.
Ma la risposta è diversa. Fa così: “Quello è mio marito, se lo uccido dove mai potrei trovare un altro uomo disposto a starmi vicino?”
I figli? Sono solo creature sacrificabili. Sacrificabili come la tua anima, cara mamma. Un’anima che sarà flagellata per l’eternità. Io però, al momento, mi accontento di vederti crepare. In fondo è una ben misera richiesta rispetto a un dolore eterno. Quindi apri quella finestra… tua figlia ti sta aspettando.

Dedicato a tutte le donne il cui marito stupra le figlie.

©2010 by Sam Stoner

sabato 20 novembre 2010

Ho visto Sam Stoner, quel gran figlio di... di Harlaan McFarlan

Era una notte di Agosto.
Ero appena uscito da uno sballo di alcool e fica nella villa di un caaaaro amico di cui per ovvie ragioni non posso fare il nome (alcune ragazze erano poco meno che minorenni! Ma con un culo...).
Erano circa le tre quando guardai le lancette del mio Rolex nascoste dietro raffermi Schizzi di Liquidi Organici sparsi un pò dovunque: sul quadrante, sulla pelle, su un desiderio ancora urlante e fremente ma davvero un pò troppo stanco per ulteriori smaneggi, sbevazzi e scazzi. Erano circa le tre dicevo, così decisi di andare. Inforcai una serie di stipiti dei più stravaganti stili e dimensioni e mi ritrovai fuori della magione, su rabesco e ruvido asfalto.
Non c’è che dire. Era proprio una gran notte quella. Fresca, tersa e di una così gradevole gentilezza da sperare che per quel giorno il sole se ne restasse a sonnecchiare per qualche altra ora dopo l’alba.
Non potevo che farmela a piedi. Del resto si trattava solo di qualche miglio e mi sarebbe servito per far svaporare i densi fumi etilici che continuavano a stringersi intorno alla testa, con una morsa più stretta delle calde e lisce cosce di quella biondina tutto fuoco... Alina... Alicia... Aspetta, com’è che si chiamava...? Va' un pò a ricordarne il nome... Mah! Non importa. Ciò che conta è che i piedi cominciarono a muoversi. E io dietro loro. Mi sembrava stessero andando nella direzione giusta. Ma in fondo chi può dire quale sia?
Ad ogni modo camminavo e questo era già abbastanza nelle condizioni in cui mi trovavo. Camminavo e contemplavo quel cielo chiedendomi come cavolo avesse fatto a diventare più rosso del buco del culo di Jemina, Oh Jemina! Il tuo nome non lo scordo di sicuro. Che corpo! Che donna! Che culo!
Ero completamente immerso in quella contemplazione culoastronomica quando avvertii l’impellente bisogno di fare quella che si apprestava a diventare la più gran pisciata della mia vita.
La strada era... Be’... La tipica strada provinciale del nord California, di quelle costeggiate da entrambi i lati da una fitta boscaglia.
Mi avvicinai al ciglio sulla destra e lo tirai fuori, ma non appena cominciai a scrosciare vigorosamente nel silenzio di quella rubineggiante notte, fui catapultato in una delle urlanti pagine di Stephen King! Anche se per un momento mi vidi come pezzo di apertura in cronaca nera e persino tra i necrologi della edizione del mattino del Sentinel.
Successe che mentre caldeggiavo il mio docile e appagato prepuzio, una strafottuta ombra sbucò fuori dall’arbusto cavo di una vecchia quercia, proprio lì vicino, a due passi da me, facendomi trasalire, impietrire, scattare, urlare.
Letteralmente ra-ggo-mi-to-lare. Altro che prendere un pò di fresco. Mi arrivò addosso l’intero Circolo Polare Artico!
Pensai fosse un orso. Un cinghiale. Un cazzo di lupo mannaro pronto a sbranarmi. Per lo spavento feci un tale balzo indietro da cadere a terra sulla schiena, tenendo gli occhi incollati su quella minacciosa ombra mentre il mio fottuto orpello continuava a schizzare liquidi ovunque: a terra, sull’asfalto, sui pantaloni, sulla camicia... Del tutto noncurante di quello che stava accadendo. Di quell’imminente pericolo che gravava torvo e ansimante proprio sopra di noi.
“Come butta Harlaan ?”
Furono queste le bestiali parole che proruppe quell’essere con una voce che sembrava avesse rubato ad un sepolto vivo dopo ore di strepiti e disperazione e straziante pianto in procinto di crepare asfissiato. E poi... accadde quello che più temevo: semplicemente l’inevitabile e logico seguito di quella scena stronca cuore: l’ombra cominciò ad avanzare. Solo due lenti, implacabili, decisi passi e il suo viso si accese di Luna.
“Sam Stoner?!” Era proprio lui. “Ma che cazzo ti salta in mente? Nasconderti in quel coso... Mi hai fatto quasi venire un infarto!”
E Sam, tutto tranquillo, come se ci trovassimo davanti ad un cognac a parlare di letteratura e fica mi fa’: ”Ma l’hai infilato in trita rifiuti? E' tutto... spiegazzato, ciondolante e... per la miseria Harlaan è più rosso del buco del culo di Jemina!”
Buttai un’occhiata e... aveva proprio ragione. Certo che quella Jemina...
“Ti faccio causa brutto stronzo, ti faccio finire sotto un ponte a scrivere necrologi!”
Fu la prima cosa che ci venne in mente, me e il mio batacchio tutto sorridente e appagato per la sgorgheggiante mingitura appena terminata.
“Perché sabato non fai un salto da me Harlaan? Do’un party. Sono venuto a portarti l’invito.”
“Invito!? A quest’ora di notte?? Ma... tu sei pazzo! Sei un fottuto psicopatico del cazzo! Ecco cosa sei!”
“Scusami per lo spavento. Ma lo sai, le entrate ad effetto sono il mio forte.”
E mi sparò in faccia quell’agghiacciante sorriso scuoia anime insieme ad una busta chiusa con un nastro di seta rosso.
“Vaffanculo Sam!”
Gli urlammo contro io e il mio rubicondo cincino, immersi fino al collo in una catramosa poltiglia di paura, rabbia, stupore e vivido risentimento. Dopo di che quello stronzo di Sam si rinfilò nel tronco e... be’, semplicemente scomparve.
Da allora non l’ho più visto.

(Malibù, California)



lunedì 15 novembre 2010

Io, Antonin Artaud

Io, Antonin Artaud, nato il 4 settembre 1896 a Marsiglia, Rue du Jardin des Plantes 4, da un utero con cui non avevo niente da spartire e con il quale già prima non avevo niente da spartire, poiché non si conviene nascere da una copula, dopo nove mesi di masturbazione con una pellicola, una fulgida pellicola che, come dicono gli UPANISCHADI, deglutisce senza denti.

E io so di essere nato in altra maniera. ATTRAVERO LE MIE OPERE. Non da mia madre. E tuttavia mia madre mi volle avere comunque.

E vedete dalla mia vita cosa ne è venuto fuori [...] che non significa che io sia nato il 4 settembre 1896 a Marsiglia, come afferma il mio stato civile, bensì ricordo di essere passato una certa notte allo spuntar del giorno. Mi ricordo di aver compiuto da solo in quella notte la mia incarnazione, invece di averla ricevuta da un padre e da una madre. E FU UN BELLO SCANDALO, UN'INCARNAZIONE CLANDESTINA; FUORI LUOGO E SENZA PATRIA.