![]() |
Da sinistra, Amr Waked, Kseniya Rappoport, Ricky Tognazzi |
Coppia d’eccellenza, Tognazzi-Gassman per Il padre e lo straniero presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Roma. Naturalmente si tratta dei figli, Ricky Tognazzi dietro la macchina da presa e Alessandro Gassman davanti l’obiettivo. Film complesso che nasce dall’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo. Questa volta Simona Izzo, insieme allo scrittore, ha curato la sceneggiatura.
La storia: Diego, impiegato ministeriale, è padre di un bambino disabile. Nell'istituto dove suo figlio è seguito, incontra Walid, elegante mediorientale che porta lì il suoYusuf. Tra i due padri nasce un'amicizia, un giuramento di lealtà reciproca. Walid non parla mai della sua vita, ma rivela a Diego una Roma sconosciuta e segreta, risvegliando in lui desideri sopiti di felicità. Finché non scompare. Al suo posto appare un agente dei servizi segreti, che è proprio sulle tracce di Walid. E Diego è una delle tracce. La progressiva scoperta della verità sulla vita di Walid sconvolgerà la vita di Diego, costringendolo infine a una difficilissima scelta, tra la fedeltà alle leggi dello stato e la fedeltà a qualcosa che non ha forse nome, ma che ha il suo fondamento proprio nell'essere un padre. Dopo Ultrà, La scorta e Cano
ne inverso, un’altra storia in cui l’amicizia maschile è il motore della vicenda, e chiave di volta per risolvere i problemi esistenziali del protagonista. “Il nostro è un film - dice il regista - con un messaggio di pace, che racconta come il dolore condiviso possa davvero unire due persone e che tenta di riflettere sul pregiudizio di cosa si considera normale e cosa diverso: alla fine, credo sia palese, la diversità non può essere intesa altrimenti se non come motivo di crescita." Infatti nel film la parola “diverso” o “normale” acquista un significato di volta in volta diverso. Diverso è Walid, imprevedibile e trascinante. Diversi sono i figli di Diego e Walid. Diversa è la realtà che Diego vorrebbe vivere. Ma questo messaggio sembra un po’ perdersi nel corso della narrazione cinematografica di un film che di certo si può definire ambizioso. Del resto, la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo presentava da subito evidenti
La storia: Diego, impiegato ministeriale, è padre di un bambino disabile. Nell'istituto dove suo figlio è seguito, incontra Walid, elegante mediorientale che porta lì il suoYusuf. Tra i due padri nasce un'amicizia, un giuramento di lealtà reciproca. Walid non parla mai della sua vita, ma rivela a Diego una Roma sconosciuta e segreta, risvegliando in lui desideri sopiti di felicità. Finché non scompare. Al suo posto appare un agente dei servizi segreti, che è proprio sulle tracce di Walid. E Diego è una delle tracce. La progressiva scoperta della verità sulla vita di Walid sconvolgerà la vita di Diego, costringendolo infine a una difficilissima scelta, tra la fedeltà alle leggi dello stato e la fedeltà a qualcosa che non ha forse nome, ma che ha il suo fondamento proprio nell'essere un padre. Dopo Ultrà, La scorta e Cano

difficoltà. Il romanzo tratta numerosi temi, troppi. E le centoquarantuno pagine non sono sufficienti a sviscerarli tutti. Figuriamoci in una riduzione cinematografica. Ma il pericolo di realizzare un film confuso, come appunto è accaduto, si sarebbe potuto evitare decidendo in sede di sceneggiatura di privilegiare un tema piuttosto che un altro. Purtroppo Simona Izzo e lo stesso De Cataldo, sceneggiatori della pellicola, hanno deciso di ficcarci dentro tutto: l’amicizia, la differenza e diffidenza culturale, la spy story, la storia d’amore, il problema della disabilità.

© 2010 by Sam Stoner
Pubblicato sul periodico Eur la città nella città n° 5 -2010