Leonid Pasternak |
di Sam Stoner
Da quando ho cominciato a prendere contatti con il mondo editoriale la mia scrittura ha subito una brusca frenata. Ricordo con nostalgia i tempi in cui mi divertivo a scrivere. Già, tempi lontani. Entravo in rete e sfidavo ogni scrittore a fare meglio di me. Sfide su sfide. Un’ora di tempo per costruire un racconto capace di affascinare i lettori. Ricordo le parolacce che ricevevo, così come le lodi. Ricordo il piacere di inventare a briglia sciolta. L’adrenalina che scorreva tra le parole.
Poi è arrivato Facebook, le amicizie con editori, scrittori - non quelli che scrivono ma quelli pubblicati - i giornalisti, i blogger, i critici, gli editor, gli agenti e tutto il carrozzone di cartapesta che si sparla addosso lodandosi, ma che non ha che fare con la scrittura, così come la intendo io. Su Facebook ho perso gli amici con i quali mi divertivo a scrivere, a inventare. Oggi su oltre 1.000 amici solo due sono capaci di riportare a galla quei tempi.
Prima erano molti. Persino quelli che su Facebook sembrano spregiudicati e folli sono solo scimmie ammaestrate. Non valgono un cazzo. Sì, sono proprio disgustato da tutto questo.

Non scrivo più per me e nemmeno per chi mi leggerà.

Capisco gente come Salinger, McCarthy, Pynchon ritirati da tutto e tutti. È il solo modo per scrivere. Stare lontano da tutti. Però in fondo direte, Ma chi cazzo sei tu per scrivere questa roba? Nessuno. Un coglione qualunque incontrato per caso in questo circo della vita.
Un coglione che si autocommisera e che gode nel mandare affanculo il mondo.
Un coglione che si autocommisera e che gode nel mandare affanculo il mondo.
Amen.