Degradarsi. Buttarsi nel cesso. Farsi del male senza neanche sapere perché ma nel mentre si va avanti senza pausa. L’unica azione portata avanti con determinazione della vita. Tutto a metà, affetti, famiglia lavoro istruzione progetti passioni desideri. Tutto a metà ,a ma non il perseverare nell’annientare se stessi. Un azione solitaria che segue vie sotterranee, e solo tali perché ce l’abbiamo messe noi nel nostro sotterraneo; in fondo, dove nemmeno noi possiamo vederle nel momento in cui ci costringiamo a dimenticarcene.
Nel mentre, il tempo passa, le tacche del contaTempo scorrono sulle aste di ferro con il loro shhhhhhhhh. E non c’è modo di riportarle indietro. Vogliamo che vadano avanti. una cinque dieci venti fino a quando possiamo commiserarci delle occasioni fallite che non possiamo più recuperare. Perse, distrutte, sgusciate via come un salmone appena pescato che incautamente si tiene tra le mani.
Crogiolarsi nell’insuccesso. Rotolarsi nel fango fallimento. Pescare in sé le attenuanti in grado di mantenerci in vita come vegetali, sospesi tra la vita non vissuta e la morte temuta. Limbo per geni frustrati. Eterno e immobile.
domenica 8 maggio 2011
sabato 7 maggio 2011
Saturday Nightmares Horror &Sci-Fi Expo.
Prestigiosi e numerosi (ben sessanta) gli ospiti dell’Expo. Tra gli invitati Martin Landau, Tippy Hedren, Bruce Stern e Barbara Steele, noti al grande pubblico per essere i protagonisti di capolavori cinematografici quali Uccelli e Marnie, Ed Wood, Il pozzo e il pendolo e Black Sunday, solo per citarne alcuni.
La manifestazione aprirà con l’incontro delle Star con il pubblico, per il solito bagno di autografi, seguirà poi la proiezione di tre capolavori: Uccelli, La notte dei morti viventi e Martin. Le tre pellicole saranno introdotte dai protagonisti delle stesse.
Il programma completa della manifestazione al sito ufficiale
http://www.saturdaynightmares.com/
mercoledì 4 maggio 2011
La solitaria vita dello Scrittore
di Sam Stoner
Qual è la vita di uno scrittore Noir?
Nel mio immaginario dovrebbe essere simile a quelle dei personaggi che descrive, lo scrittore Noir dovrebbe vivere in ambienti le cui atmosfere richiamano quelle dei suoi romanzi. La realtà è un’altra.
.Il mondo Noir è dentro lo scrittore,
non fuori.
ciò che lo circonda è desolazione,
soprattutto sociale.
Lo scrittore Noir non è un gran frequentatore di salotti, feste, cocktail, aperitivi, cene… diciamo la verità, lo scrittore Noir fa un vera e propria vita del cazzo!
Logico che poi se la sfoghi sulla pagina. Prendiamo ad esempio Sam Stoner. La sua giornata tipo.
Deve andare a lavorare, quindi al mattino raggiunge in auto l’ufficio che ha vicino casa. Il suo ufficio è composto da tre persone. Tre persone che vede ogni giorno per anni, e che spera di continuare a vedere perché vorrà dire che Sam ha un lavoro. A una certa ora stacca e torna a casa in auto. Venti minuti di tragitto.
A casa legge e scrive fino a cena (non che ci sia tutto questo tempo per farlo). Poi guarda qualcosa di interessante in tv, soprattutto le serie americane e sbircia nel pc in cerca di notizie di cronaca nera interessanti. Va a dormire relativamente presto per svegliarsi altrettanto presto al mattino, solitamente prima dell’alba, per scrivere.
E così comincia una nuova giornata.
Non incontra molte persone, tranne che al supermercato. Oppure nelle sere che partecipa a presentazioni o mostre d’arte. Non frequenta bar malfamati. A Roma non ci sono i bar che si possono trovare nel Village o a Soho. Al massimo c’è il baretto con la sala biliardo di Tor Bella Monaca, ma è bene non entrarci se non si è del luogo. Si rischia la vita.
La sola persona con la quale Sam scambia quotidianamente il saluto è una prostituta. Si vedono un paio di volte al giorno tutti i giorni. Salutarla è diventato più un gesto di cortesia che altro.
Insomma, diventare uno scrittore Noir non è stata poi una così grande pensata. L’uccello di Sam è diventato taciturno e scorbutico. Sam comincia a prendere informazioni sulle associazioni che assistono donne affette da ninfomania. Le probabilità di una trombata dovrebbero aumentare considerevolmente, comunque più che non nel corso di ceramica proposto dal municipio.
Potrebbe darsi all’alcol, ma poi non potrebbe scrivere, solo Hemingway riusciva a farlo pur essendo ubriaco fradicio. Così continua a percorrere le sue giornate, una dietro l’altra, parla solo con i suoi personaggi fraternizzando con le future vittime. Nel mentre, considera l’opportunità di prendere un caffè con la prostituta, il solo essere umano che non scivola sui finestrini della sua auto e nella sua fantasia.
Che vita del cazzo quella dello scrittore Noir.
©2011 by Sam Stoner
lunedì 18 aprile 2011
EL GRINTA
di Sam Stoner
Il West.
Così come deve essere.
Sporco. Ruvido. Cattivo. E capace di prendersi per il culo.
Che agghiacciante piacere vedere bambini applaudire allo spezzarsi del collo degli impiccati, come pure vedere il West nei catarrosi sputi sulle assi di legno sudice e scricchiolanti dei portici di Fort Smith, dove si ammazza per non essere ammazzati, dove si ammazza per soldi, dove si ammazza per aver infranto la legge. In quel lembo di Frontiera, la vita non vale niente, anzi sui cadaveri ci si ride.
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Chalrles Portis e John Wayne |
Sì, perché questo è l’adattamento di un romanzo, non un remake.
El Grinta dei Cohen non è un lifting al volto segnato di Frontiera del Duca (John Wayne, protagonista del film di Hathaway del 1969 n.d.r.).
No, si tratta di un noir alla Donald Westlake o alla Elmore Leonard. Un noir che si prende davvero poco sul serio. Un risultato cinematograficamente perfetto che poteva essere vanificato. I due fratelli, infatti, dovevano maneggiare il sacro West, e le cose avrebbero potuto complicarsi non poco se avessero spinto il pedale verso la loro ben conosciuta surreale comicità nera. E invece hanno dato solo un lieve tocco “Cohen” alla già ironica lettura del West di Portis.
Già, perché Portis ama e sbeffeggia il West in egual misura. Basta dare un’occhiata alla copertina originale del suo romanzo del ‘68, che invece di pistoleri, sceriffi e pallottole vede ritratta una ragazzina, la stessa che nel film ha il volto di Hailee Steinfeld. E che mette in riga con le sue taglienti parole pistoleri, ranger e uomini di legge. La sua interpretazione magistrale viene esaltata dai dialoghi, feroci e spumeggianti, ironici e duri.

Sono molte le letture di questo capolavoro, c’è il Cinema, quello con la C maiuscola: dialoghi, appunto ma anche le puntuali musiche di Carter Burwell, la fotografia decisamente noir di Roger Deakins, scenari notturni da togliere il fiato, atmosfere fiabesche e colpi di scena spietati.
Ma è l’anima del film, che tutto trascina verso il sublime, è l’anima nobile della Donna incarnata dalla Steinfeld.
Come del resto accade ogni giorno tra uomini e donne, fin dall’inizio dei tempi. Quella stronza di Eva a parte, ovvio.
Molti hanno parlato di El Grinta come di un western classico, ma non si vede un saloon, emblema della filmografia western. La verità è che ai Cohen non serve, loro dipingono il loro West, ed è un West che rimane dentro.
Evidente, e apprezzabile, l’omaggio dei Cohen al più grande western mai realizzato: Gli spietati, di e con Clint Eastwood. I Cohen, infatti, chiudono El Grinta ricostruendo la stessa scena che apre e chiude Gli spietati. A voi scoprire quale.
I Cohen hanno studiato.
Corbis li ha elettrizzati e ispirati.
Una sola visione non basta.
Non si raggiungono le “dovute” cinque visioni degli Spietati, ma almeno due sono d’obbligo.
Copyright 2011 © by Sam Stoner
SCHEDA FILM
REGIA: Joel Coen, Ethan Coen
SCENEGGIATURA: Joel Coen, Ethan Coen
SOGGETTO: Dall'omonimo romanzo di Charles Portis che fu già alla base del western con John Wayne
ATTORI: Jeff Bridges, Hailee Steinfeld, Josh Brolin, Matt Damon, Barry Pepper, Paul Rae, Jarlath Conroy, Domhnall Gleeson, Elizabeth Marvel, Ed Corbin, Dakin Matthews, Joe Stevens, Leon Russom, Mary Anzalone, Bruce Green (II), Brian Brown, Mike Watson
FOTOGRAFIA: Roger Deakins
MONTAGGIO: Roderick Jaynes
MUSICHE: Carter Burwell
PRODUZIONE: Scott Rudin Productions, Skydance Productions
DISTRIBUZIONE: Universal Pictures Italia
PAESE: USA 2010
GENERE: Drammatico, Western, Avventura
DURATA: 110 Min
FORMATO: Colore 2.35 : 1 Sito Italiano
Sito Ufficiale
SCHEDA ROMANZO
Charles Portis
Titolo: Il Grinta
ISBN 978-88-625-1077-6
Pagine 190
Euro 15,00
Collana: Blugiano
Link Editore
martedì 12 aprile 2011
L'Italia e il suo Noir da baretto
di Sam Stoner
Tutti parlano di globalizzazione, di contaminazioni, di abbattimento dei stantii confini.
In Italia, però, nel Noir si vuole affermare il Noir italiano.
E cos’è il Noir Italiano?
Ma soprattutto, c’è davvero l’esigenza di un Noir italiano?
In ambito letterario, l’Italia dovrebbe essere conosciuta nel mondo grazie a scrittori con i contro cazzi eredi di Dante, Boccaccio, Pavese. Certo, c’è chi dice che La Divina Commedia sia uno dei più grandi Noir, come lo sono le tragedie di Shakespeare e Sofocle, per non parlare di Kleast.
Ma se è così, mi chiedo: come si fa a chiamare noir le solite stronzate con il solito sfigato ispettore con il vezzo di artista che ama la cucina e non ha famiglia? Forse ne ha parlato Dante e non me ne sono accorto?
La verità è che il Noir italiano non esiste. E se continuiamo di questo passo diventeremo una macchietta ridicola agli occhi del mondo. Il nostro Noir sarà “avvertito”, “sentito” come gli ormai stereotipati “pizza e mandolino” o “mafia e spaghetti”; il Noir invece dovrebbe avere radici nella Cultura e nella Storia italiana, in questa che è la culla della Civiltà mondiale. Un Noir capace di reinterpretare l’anima italiana, anche se si tratta di un racconto ambientato in Cambogia.
Sembrerebbe migliore la situazione del poliziesco italiano.
Certo le radici qui ci sono, basta dare un’occhiata al secolo scorso Gadda, Sciascia, Scerbanenco. Ma nel ventunesimo secolo dove sono i giovani autori (sotto i cinquanta/sessanta) capaci di raccogliere l’eredità di questo terzetto?
Ed ecco che tra gli scaffali si trovano polizieschi confusi ed edulcorati, molti dei quali non resistono a farci la morale, mandarci un “messaggio” positivo. Un poliziesco buonista persino di fronte ai serial killer, buonisti anche loro, ovviamente; mai sanguinari come quelli che ci regala la cronaca e che farebbero mangiare la polvere ad Hannibal.
Di fronte a questa farsa, sarebbe meglio disseppellire il poliziesco italiano del novecento, persino quello cinematografico di Maurizio Merli e Franco Nero, quello bastardo, scoglionato, stronzo, cialtrone e sanguinario. Il poliziesco Nostro, riconosciuto persino da Quentin Tarantino. In Italia abbiamo più di un paio di scrittori capaci di farlo rivivere, ma non si applicano, forse distratti dalle richieste di editor che farebbero bene ad andare a vendere collanine sulla spiaggia invece che scaldare i loro inutili culi su poltrone inadatte ad ospitarli.
Alle nuove leve del Noir/Poliziesco italiano, come già detto, viene richiesto, sempre e comunque, di sfornare racconti e romanzi ancorati alla tradizione italiana. Non quella letteraria o culturale nobile, come accennato, ma quella del cortiletto o del baretto, della piazzetta, del paesello italiano (purché non ci si avvicini a Sciascia, per carità. C’è bisogno di novità!) cancellando con un colpo di spugna secoli di Sacro Romano Impero con una Roma capace di regnare sul mondo, annullando le imprese di Colombo, le opere di Leonardo, Michelangelo, Bernini, il Rinascimento, addirittura il più recente neorealismo del dopoguerra e persino, udite, udite, Isabella Santacroce. Che il cielo li perdoni!
Nessuno sa quale sia questa “tradizione Noir italiana”. Si sa soltanto che bisogna onorarla, servirla e ficcarla nei racconti e romanzi. E allora ecco che questi poveri cristi di nuovi scrittori forzano la loro scrittura verso i più beceri stereotipi italiani: i dialetti. Cazzo, questi sono italiani. La cucina. Cazzo, questa sì che è italiana. E via di questo passo, procedendo alla cieca.
Negli USA chiedono Thriller, Noir, Hard Boiled, Mistery e non importa dove sono ambientati e chi è il protagonista, purché ci sia la Storia o il personaggio. E sfondano. Non a caso tra i migliori racconti Mistery Usa si trova sempre almeno un racconto ambientato all’estero e con protagonisti stranieri o addirittura scritti da stranieri che si sono trasferiti in territorio statunitense; un esempio è Garry Graig Powell, cresciuto in Inghilterra e negli Emirati Arabi. Un suo racconto ambientato a Dubai e con protagonista una cinese è stato selezionato da Jeffrey Deaver (quello a cui leccano le chiappe quando stringe la mano a Faletti per ringraziarlo di tradurre i suoi romanzi in italiano e poi metterci il suo nome) per l’antologia The Best American Mystery Stories 2009.
Qui da noi, invece, se uno scrittore italiano ha la fortuna di crescere in Europa (a mio immodesto avviso, per evitare lo scimmiottamento del Mystery americano basterebbe richiedere Mystery di ambientazione Europea) e decide di ambientare un racconto a Bruxelles, può anche chiuderlo nel cassetto, a meno che non lo trasferisca nella… Ludigiana. Mica si scherza.
Qui si tratta di grandi teste di… che guidano l’ambiente editoriale Noir italiano. Scusate, non grandi teste, ma piccole, provinciali. Anzi, rionali.
Perché non dobbiamo dimenticarci che qui in Italia siamo… globalizzati. Anche nel Noir.
“A frate’, fammene ‘n’artro che ciò la gola secca. ‘sta cazzo de convescion italiana de noir nun finisce più. Quest’anno pe’ fa’ le cose in grande, se so presi er baretto. Li mortacci loro…”
martedì 15 marzo 2011
Un'altra corona per il Re del Brivido
Stephen King è stato selezionato come vincitore del titolo Mason Award 2011 dal Fall for the Book Festival alla George Mason University di Fairfax, VA. Il premio gli sarà consegnato il 23 settembre 2011 a una cerimonia durante la quale dovrebbe leggere estratti dai suoi libri per 30/45 minuti. Un appuntamento immancabile per i suoi affezionati. Fairfax non è male in settembre. Vi consiglio di farci un pensierino.
domenica 27 febbraio 2011
Il Cigno Nero
La pellicola si propone come candidata a peggior film dell’anno. Portman magistrale. Trama inesistente.
di Sam Stoner
di Sam Stoner
La storia: Nina è una ballerina del New York City Ballet che sogna il ruolo della vita. Incalzata da una madre frustrata, si sottopone a un allenamento estenuante sotto lo sguardo esigente del coreografo Thomas Leroy, deciso a farne una fulgida stella, Leroy le assegna la parte della protagonista nella sua versione rinnovata del “Lago dei cigni”. Sul palcoscenico Nina sarà Odette, principessa trasformata in cigno dal sortilegio del mago Rothbard. La ricerca ossessiva del suo lato oscuro (il cigno nero) e della consapevolezza della propria sessualità la condurranno verso l'autodistruzione.
Recensione. Nella sala, il grande Noiosaurus aleggia imperioso. Sfiora le teste degli spettatori, regalando loro, a ogni discesa, un lieve stordimento che fa loro abbassare le palpebre e ondeggiare il capo. Altre volte, invece, dona irritazione di fronte a quello scempio di pellicola che l’incomprensibile, o meglio comprensibile solo a se stesso, Darren Aronofsky ha voluto regalare al mondo. La trama sembra essere scappata in qualche isola tropicale. L’intreccio si dice che sia stato corrotto dall’uomo invisibile. Allo scorrere dei titoli di coda nessuno si muove, come solitamente avviene. Tutti restano al proprio posto, chiedendosi che razza di film sia quello per il quale hanno speso due ore del proprio tempo e il prezzo del biglietto. E come se ci fosse un inconscio rifiuto ad ammettere di essere stati fregati. Perché di questo si tratta, di una truffa. Trailer notevole, protagonisti di tutto rispetto, regista premiato e titolo evocativo di atmosfere hitchcockiane purtroppo perdute nella cinematografia del ventunesimo secolo. E, guardando questo insieme di immagini ( mi rifiuto di chiamarlo film e sarebbe un’offesa definirlo documentario) si capisce quanto sia lontano dal giallo. A dirla tutta, non solo dal giallo ma anche dal thriller, dal dramma, dall'horror e da ogni genere conosciuto.
La sola nota positiva è l’interpretazione della Portman. Davvero notevole. Vale da sola il prezzo del biglietto. A dire la verità si ha il sospetto che il film sia stato costruito attorno a lei, o meglio, attorno alle sue doti interpretative per confezionare una sorta di megaspot di recitazione destinato al mondo. E visto sotto questo aspetto il tutto funzionerebbe alla grande. Il titolo dovrebbe essere: Natalie Portman: la nuova Star di Hollywood. Ad uso e consumo dei suoi fan.
Curiosità: La Portman nuda e in mutandine mentre si masturba nel letto sono due chicche da vedere.
Voto al film: 0
Interpreti: Portman da Oscar
Regia: vedi sceneggiatura
Sceneggiatura: c’è una taglia su Darren Aronofsky, Mark Heyman e John McLaughlin. Se li vedete sparategli e incassati i dollari che ci sono sulle loro teste.
lunedì 14 febbraio 2011
Divagazioni Noir a L.A.
Per KCRW, Kevin Roderick dal LA Observed.
Se Los Angeles ha un genere letterario natale, avrebbe dovuto essere noir fiction. Pensate a tutti i cinici detective, gli occhi privati e risolutori di mistero freelance che associamo con LA.
Philip Marlowe, che passa sul Wilshire Boulevard tra le insegne al neon che animano una città disperata.
Jack Nicholson nel ruolo di Jake Gittes in Chinatown, che si ritrova con il naso a fette per essersi imbattuto contro la parte sbagliata di L.A.
Harry Bosch, il personaggio di Michael Connelly, che prende in giro i suoi capi corrotti al LAPD, mentre teneramente cerca prostitute che gli ricordano sua madre assassinata.
Un sacco di losangelini sono scrittori di cuore. E si scopre che molti di loro hanno dentro di loro una storia di mistero pronta a saltar fuori.
Ero cosciente del fatto che questo fosse qualcosa di innato, ma ne ho avuto piena consapevolezza solo quando il mio collega, lo sceneggiatore Eric Estrin, ha lanciato il LA Observed Script Project, invitando il lettori a contribuire a scrivere un film noir ambientato a Los Angeles.
Poche settimane dopo il lancio del LA Observed Script Project, il Los Angeles Times ha lanciato una sorta di chiamata di lettura. Si tratta di Birds of Paradise, che si può definire una storia noir-ish.
Siamo lusingati dell’imitazione, ma ci sono alcune differenze. La nostra è una sceneggiatura che potrebbe, un giorno, diventare un film, la storia del Times è più che altro un romanzo. La loro è una breve corsa, in programma a fine settimana prossima con il Festival di libri presso la UCLA. La nostra sceneggiatura andrà avanti. Finché, come dice Eric, la storia è fatta.
Perché sai quello che si dice. Ci sono milioni di storie nella città nuda, e questa sarà una di quelle.
Traduzione dall'inglese di Sam Stoner
Traduzione dall'inglese di Sam Stoner
lunedì 31 gennaio 2011
Sam Stoner nel Mary Shelley Project

Cos'è il Mary Shelley Project? Lo saprete a tempo debito.
Per il momento, gustatevi le poesie cimiteriali, i dipinti maledetti, i racconti infernali, gli autori immortali, le leggende, le atmosfere gotiche...
Posso solo farvi una promessa, c'è la metteremo tutta per alimentare i vostri peggiori incubi.
http://www.maryshelleyproject.com/
Sam Stoner
mercoledì 26 gennaio 2011
Darling Jim di Christian Mork
Le note in copertina recitano: "Christian Mork seduce e incanta con la potenza del suo racconto" NEW YORK TIMES BOOK REVIEW
Si vede che quel giorno la redazione del NYTBR stava festeggiando con l’ennesimo bicchiere della staffa...
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venerdì 21 gennaio 2011
Estratto dalla "Biografia non autorizzata di un folle"
di Angelica C. Gherardi
Chi è Sam Stoner? Uno scrittore? Un investigatore? Un giornalista? Un avvocato? Nessuno lo sa con esattezza, ma qualsiasi cosa egli sia, dietro al sostantivo ci sta bene l’aggettivo “privato”.
A New York lo si è visto spesso con in mano un taccuino a righe e una penna a sfera con inchiostro rigorosamente blu prendere appunti davanti ad una scena di violenza urbana, davanti al tribunale penale e federale, seduto su una panca accanto a qualche arrestato di fresco per reati minori e qualche puttana dal rossetto sbavato e le calze bucate arrestata per adescamento, davanti al banco “delle accettazioni” di qualche commissariato di quart’ordine. Ma bazzica altrettanto i cimiteri nei giorni di funerale o le hall degli hotel una volta di lusso e alla moda, adesso frequentati solo da vecchie signore di un’alta borghesia che fu.
E l’ambiente dei discendenti di nobili russi fuggiti da San Pietroburgo durante la rivoluzione di ottobre non ha per lui alcun segreto. Si dice anche che custodisca gelosamente un uovo Fabergé di grande valore donatogli da un’anziana duchessa il cui nome finisce in “ova” per non si sa bene quale servizio reso. Forse le aveva tirato fuori dai guai il figlio trascinandolo fuori appena in tempo da una bisca clandestina prima che sui tavoli, accanto alle fiches, apparissero le pistole. O forse è qualcosa di molto più personale che aveva ricordato alla vecchia che una volta era stata giovane e bella.
Il fatto che Sam sia ossessionato dal blu, nell’inchiostro delle sue penne ma anche nell’abbigliamento e negli oggetti che lo circondano, non ha niente a che vedere con il colore dei suoi occhi. Alcuni raccontano che sia perché da bambino è caduto in acqua e fosse quasi affogato precipitando in un lago gelato il cui ghiaccio troppo sottile si era rotto sotto il suo peso. Prima di perdere conoscenza era stato più di un minuto immerso in quel blu profondo privo di luce, a scrutare quelli che per lui erano abissi misteriosi popolati da chissà quali personaggi mitologici. Altri invece giurano che il blu gli ricordi quell’esperienza iniziatica che aveva vissuto in un lurido motel del deserto messicano dopo aver ingerito funghi allucinogeni; durante il “viaggio”, tutto blu, Sam aveva ricevuto La rivelazione, aveva capito il senso della vita, ma tutto si era puntualmente dissolto nel nulla quando gli effetti del fungo si erano evaporati. Da allora egli cerca di ritrovare la spiegazione di tutto nel blu di cui si contorna…
Gli unici vezzi e vizi conosciuti di Sam Stoner sono le sigarette di cioccolata che mangia forse solo due volte al giorno ma che tiene, ancora con la loro cartina bianca protettiva intorno, appese alle labbra dalla mattina alla sera, e la sua bevanda preferita, l’effervescente Brioschi. Le prime se le fa arrivare direttamente dal Belgio, patria della cioccolata ma anche di suo nonno, un diamantario ebreo fuggito da Anversa nel ‘39. Quando era arrivato a New York aveva cambiato il suo nome in Stoner, “pietraio” , riprendendo a esercitare il suo mestiere, tagliando e vendendo pietre preziose; era sempre rimasto un oscuro lavorante nascosto nel retrobottega di un’altrettanto oscura gioielleria del quartiere yiddish, ma era riuscito a mandare il figlio all’università. Di questo si era poi amaramente pentito, perché suo figlio, il padre di Sam, fuori dal ghetto aveva conosciuto troppa libertà, aveva smesso di mangiare kosher, di santificare lo shabat e alla fine aveva anche sposato una goy, una ragazza cattolica di origini italiane. Da quel giorno il padre ripudiò definitivamente il figlio, e Sam non conobbe mai suo nonno, belga come le sigarette di cioccolato che mangia.
L’effervescente Brioschi invece se lo fa venire dall’Italia, retaggio di quella santa donna di sua madre, tutta bellezza, passione e carattere, i cui genitori umbri avevano lasciato la Madre Patria per costruirsi un futuro migliore in America, senza mai però imparare l’inglese e continuando a parlare in dialetto. Si installarono a Little Italy dopo essere rimasti tre mesi parcheggiati a Ellis Island insieme a tanti loro connazionali, in attesa che le autorità americane concedessero loro di sbarcare sulla terra ferma per rifarsi una vita. Col tempo, dopo aver fatto mille lavori umili, riuscirono ad aprire una piccola bottega di prodotti tipici italiani, che pian piano negli anni si era ingrandita diventando un’istituzione per i newyorkesi. Little Italy vide i natali della madre di Sam e dei suoi sette fratelli e sorelle. Ma è lei di cui i genitori vanno più orgogliosi, quella che ha studiato e si è sposata con quel bell’uomo dagli occhi azzurri; vabbé, non è cattolico, però non va più alla sinagoga, festeggia con loro il Santo Natale e ha lasciato che il piccolo Sam crescesse nel grembo della Santa Chiesa…
© 2010 by Angelica C. Gherardi
mail: angelica.gherardi@libero.it
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martedì 18 gennaio 2011
Fenomenale Roth
In L'umiliazione di Philip Roth è impossibile trovare una sola pagina capace di allentare la tensione narrativa.
Quattro capitoli. Centotredici pagine. Un protagonista: Simon Axler. Il più grande attore drammatico della sua generazione e la sua improvvisa e incomprensibile incapacità di stare su un palco.
L’incipit inchioda, segnando anima e respiro. L’ho letto tre volte prima di andare avanti. Impossibile non farlo. In quelle righe c’è la semplicità e la forza del grande talento di Roth capace di tratteggiare un protagonista che in realtà è tutti noi. Noi che nelle nostre vite abbiamo un ruolo, una parte. La nostra, quella scritta per noi, figli, padri, mariti, amanti… Ma a chiunque può capitare di smarrire il copione. Ed ecco che non siamo più in grado di restare nella parte. Perdiamo il lavoro, la famiglia gli amici, le abitudini… tutto è smarrito, estraneo. Ma Roth ci lancia un salvagente. Sì, perché un salvagente c’è sempre e quello di Simon (il protagonista) ha le sembianze di Pegeen, una docente universitaria di quarant’anni lesbica e affascinante che lui ha visto nascere e che torna nella sua vita.

Una nota a parte merita la donna descritta da Roth. Una donna che il grande scrittore si diverte a fare a pezzi. Non viene salvata in nessun ruolo: madre, moglie, figlia, amica, amante, etero, lesbica… La donna per Roth è la quinta essenza del fallimento completo. Tragica e comica nell’affannata e inutile ricerca di se stessa.
L’umiliazione è un vero Capolavoro.
© 2010 by Sam Stoner
Philip Roth
Einaudi
Anno 2010
114 pagine
€ 17.50
Traduzione: Mantovani V.
lunedì 17 gennaio 2011
Il padre e lo straniero al Festival del Cinema di Roma
Temi importanti, ma che proprio perché così rilevanti hanno bisogno di un adeguato spazio per poter essere trattati come meritano. Spazio che in centodieci minuti è impossibile trovare. Non a caso, al termine della proiezione al Festival del Cinema di Roma non si sono sentiti applausi. Pareri discordi, invece, sulla performance dei protagonisti. Per alcuni sottotono travolta dalla confusione della storia, per altri, invece, unico elemento positivo ma insufficiente a salvare la mancanza di lucidità della sceneggiatura e i molti punti deboli della narrazione e dei dialoghi. Una nota sul backstage. Parte delle riprese sono state girate all’Eur all’interno del Palazzo degli Uffici e negli esterni del Salone delle Fontane. Inconfondibili gli ambienti dell’ufficio di Diego (Alessandro Gassman), oltre che per il panorama offerto dal Parco del Ninfeo anche per una serie di particolari d’interni d’epoca. Il Palazzo degli Uffici, infatti, è il solo edificio del complesso architettonico dell’Eur completamente finito (dagli arredi alle maniglie agli infissi) con materiali e complementi d’interni del ’42.
© 2010 by Sam Stoner
Pubblicato sul periodico Eur la città nella città n° 5 -2010
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Da sinistra, Amr Waked, Kseniya Rappoport, Ricky Tognazzi |
Coppia d’eccellenza, Tognazzi-Gassman per Il padre e lo straniero presentato fuori concorso al Festival del Cinema di Roma. Naturalmente si tratta dei figli, Ricky Tognazzi dietro la macchina da presa e Alessandro Gassman davanti l’obiettivo. Film complesso che nasce dall’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo. Questa volta Simona Izzo, insieme allo scrittore, ha curato la sceneggiatura.
La storia: Diego, impiegato ministeriale, è padre di un bambino disabile. Nell'istituto dove suo figlio è seguito, incontra Walid, elegante mediorientale che porta lì il suoYusuf. Tra i due padri nasce un'amicizia, un giuramento di lealtà reciproca. Walid non parla mai della sua vita, ma rivela a Diego una Roma sconosciuta e segreta, risvegliando in lui desideri sopiti di felicità. Finché non scompare. Al suo posto appare un agente dei servizi segreti, che è proprio sulle tracce di Walid. E Diego è una delle tracce. La progressiva scoperta della verità sulla vita di Walid sconvolgerà la vita di Diego, costringendolo infine a una difficilissima scelta, tra la fedeltà alle leggi dello stato e la fedeltà a qualcosa che non ha forse nome, ma che ha il suo fondamento proprio nell'essere un padre. Dopo Ultrà, La scorta e Cano
ne inverso, un’altra storia in cui l’amicizia maschile è il motore della vicenda, e chiave di volta per risolvere i problemi esistenziali del protagonista. “Il nostro è un film - dice il regista - con un messaggio di pace, che racconta come il dolore condiviso possa davvero unire due persone e che tenta di riflettere sul pregiudizio di cosa si considera normale e cosa diverso: alla fine, credo sia palese, la diversità non può essere intesa altrimenti se non come motivo di crescita." Infatti nel film la parola “diverso” o “normale” acquista un significato di volta in volta diverso. Diverso è Walid, imprevedibile e trascinante. Diversi sono i figli di Diego e Walid. Diversa è la realtà che Diego vorrebbe vivere. Ma questo messaggio sembra un po’ perdersi nel corso della narrazione cinematografica di un film che di certo si può definire ambizioso. Del resto, la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo presentava da subito evidenti
La storia: Diego, impiegato ministeriale, è padre di un bambino disabile. Nell'istituto dove suo figlio è seguito, incontra Walid, elegante mediorientale che porta lì il suoYusuf. Tra i due padri nasce un'amicizia, un giuramento di lealtà reciproca. Walid non parla mai della sua vita, ma rivela a Diego una Roma sconosciuta e segreta, risvegliando in lui desideri sopiti di felicità. Finché non scompare. Al suo posto appare un agente dei servizi segreti, che è proprio sulle tracce di Walid. E Diego è una delle tracce. La progressiva scoperta della verità sulla vita di Walid sconvolgerà la vita di Diego, costringendolo infine a una difficilissima scelta, tra la fedeltà alle leggi dello stato e la fedeltà a qualcosa che non ha forse nome, ma che ha il suo fondamento proprio nell'essere un padre. Dopo Ultrà, La scorta e Cano

difficoltà. Il romanzo tratta numerosi temi, troppi. E le centoquarantuno pagine non sono sufficienti a sviscerarli tutti. Figuriamoci in una riduzione cinematografica. Ma il pericolo di realizzare un film confuso, come appunto è accaduto, si sarebbe potuto evitare decidendo in sede di sceneggiatura di privilegiare un tema piuttosto che un altro. Purtroppo Simona Izzo e lo stesso De Cataldo, sceneggiatori della pellicola, hanno deciso di ficcarci dentro tutto: l’amicizia, la differenza e diffidenza culturale, la spy story, la storia d’amore, il problema della disabilità.

© 2010 by Sam Stoner
Pubblicato sul periodico Eur la città nella città n° 5 -2010
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