giovedì 13 dicembre 2012

Moscow's Fury, il mio tributo al crime

 

 

Moscow's Fury di Sam Stoner
Ebook 2012
Euro 1,99

Atlantis - Lite Editions
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Dalle mie ombre è nato Kirill Sivanicov, un giovane sbandato che vive le sue giornate nel distretto di Kuz’minki, uno dei quartieri più degradati della capitale russa, fra risse, assunzione di droghe e alcol e sesso occasionale.

Kirill, destinato per nascita a ingoiare merda e per destino a restituirla sotto forma di rabbia. Rabbia che a soli 16 anni lo porta a sfondare il cranio di un infame con una barra di acciaio, e poi di sopravvivere in uno dei più duri penitenziari di Mosca.

Kirill ha la violenza sulla pelle, sono le cicatrici
guadagnate sulla strada in risse e vendette.
Le sue mani sono sporche di sangue, un sangue ostentato con orgoglio, un sangue che gli permette di essere rispettato e salire di grado nella scala sociale della delinquenza di Kuz'minki, di avere tutte le donne che vuole e i gioielli che desidera.

In quel lembo disperato di terra dove vive, uccidere è il solo modo di sopravvivere, ma non sempre le cose vanno come dovrebbero, soprattutto se nel suo cuore resiste ancora un barlume di amore. Amore per la sorella, sua unica famiglia. È vero, lei si prostituisce per vivere ma è pur sempre sangue del suo sangue e quindi nessuno può mancarle di rispetto, nessuno può farle del male. Pena: la morte. Ed è in questa follia di vendetta che il mondo di Kirill si sbriciolerà in mille schegge letali.
Sam Stoner


 ANTEPRIMA

“Che la mia vita fosse una merda lo sapevo.
Ma non potevo permettere a nessuno di dirlo.
Né potevo permettere a nessuno di incasinarla più di quanto già non fosse.
Mi chiamo Kirill Sivanicov.
Un nome del cazzo, lo so. Ma questo mi ha dato mia madre. Forse perché quando sono nato avevo già la faccia da sbandato che ho adesso. Senza le due cicatrici, però.
Una sul sopracciglio destro a ricordo della mia prima rissa in un bar. L’altra vicino al labbro superiore. Sei punti di sutura messi a caso da un dottore fresco di scuola. Mi aveva preso per un pupazzo su cui allenarsi. Il taglio era il regalo di uno dei vecchi. Erano le prime bevute, le prime scopate e le prime risse. Mi sentivo un dio, pensavo di poter mettere a posto tutti. Feci lo stronzo con Anrej. Tempo dieci secondi e mi trascinò giù spingendomi il viso nel fango. Imparai a portare rispetto ai vecchi e soprattutto ad agire e parlare poco. Se devi dare una lezione a qualcuno fallo e basta.
Mosca è la mia città. Ma non è quella dei turisti o dei pezzi grossi che girano con l’autista per le boutique importate dall’Europa sulla Stoleshnikov Lane. È quella che nessuno vuole vedere, popolata da vite a termine. Vite come la mia...”

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(Euro 1,99) 





domenica 25 novembre 2012

RECENSIONI: Chester Himes | Corri, uomo,corri


 
di Sam Stoner
Ciò che emerge dalla lettura di questo splendido romanzo è la minuziosa descrizione di ogni particolare: ambiente, personaggi, atmosfere. Descrizioni che non appesantiscono la lettura ma che anzi la rendono più intensa. Interessante anche il fluire dei pensieri dei personaggi, prede e cacciatori. Un alternarsi di pensieri che delizia. Nessuna azione è compiuta senza l’esauriente esposizione dei motivi alla base di ogni parola e gesto. Il lettore assiste,  senza chiedersi mai il perché. Tutto è spiegato. Eppure, non si riesce mai ad anticipare una battuta o un'azione. Il motivo è semplice, i personaggi sono così reali e profondi da gettare un cono d’ombra sulle loro prossime azioni, seguite poi passo passo da una penna che sembra una macchina da presa.  La loro caratterizzazione è tale che è come se Chimes li scolpisse sulle pagine.
Il ritmo è avvincente, a tal punto da costringermi a divorare tutte le pagine. Non sono riuscito ad abbandonare la lettura.
C’è Woolrich, con la figura di un uomo solo che deve lottare contro eventi avversi e a lui ignoti. Un uomo che non viene creduto, lasciato solo con il proprio incubo.
Harlem negli anni Cinquanta
C’è il razzismo. Forte oggi e presente a tutti i livelli negli anni Cinquanta.
Himes rappresenta la realtà senza forzature.
Interessante la figura delle donne. Chester non crede molto in loro. Pronte a tradire anche il loro amore per una scopata. Già avete letto bene, per una scopata, sesso. Tutto qui l’universo femminile di Himes che prima tratteggia donne coraggiose, forti, indipendenti per poi farle precipitare in un baratro dal quale non possono più riemergere, solo la figura materna si salva. La madre votata al sacrificio per i propri figli.
L’incipit è davvero travolgente. Chester ci regala pagine meravigliose. Pochi potrebbero fare di meglio se non i grandissimi scrittori del passato. Himes  riesce a tenere in sospeso la scena iniziale per un tempo che sembra pari al battito di un ciglio e che invece va avanti per ben 38 pagine.
Grandissimo scrittore . Il crime/noir è suo.


Trama
Testimone involontario di un duplice, brutale omicidio a sangue freddo, il giovane studente nero Jimmy Johnson – che lavora come inserviente notturno in una tavola calda di Harlem – diventa a sua volta bersaglio dell'implacabile assassino, un agente di polizia corrotto e ferocemente razzista che vive in uno stato di perenne ubriachezza. Teatro di questa convulsa caccia all'uomo è una Harlem surreale e iperrealista, una sorta di girone dantesco i cui abitanti si dividono tra cattivi e ancor più cattivi, oltre che una Manhattan mai così ostile e impenetrabile, pronta a respingere chiunque bussi alle sue porte in cerca d'aiuto.


Chester Himes
Figlio di due insegnanti, Joseph Sandy Himes e Estelle Bomar Himes, che in seguito divorziarono, fin da ragazzo dovette constatare la discriminazione razziale quando suo fratello, ferito in un incidente, fu respinto da un ospedale per soli bianchi. Dopo essere stato espulso da una università, nel 1928 fu condannato a una grave pena per rapina a mano armata e fu rinchiuso nel penitenziario dell'Ohio. Lì riuscì a farsi rispettare scrivendo racconti, che vennero pubblicati su riviste dopo il 1931. Nel 1936 fu rilasciato in prova in custodia della madre. Continuò a scrivere e venne in contatto con Langstone Hughes che lo aiutò a entrare nel mondo letterario. Nel 1936 sposò Jean Johnson.
 
 
 
 
..
Corri, uomo, corri
Chester Himes
Meridiano Zero (collana Meridianonero)
Euro 8,90
p. 288
Anno 2009 (scritto originale 1957)
Traduzione L. Conti

venerdì 16 novembre 2012

"Natale in noir" per Sam Stoner





Un ad Alessandra Buccheri e Paolo Gardinali, curatori dell'antologia Natale in Noir per aver selezionato il mio racconto "Suicidio e resurrezione" insieme ai racconti di  Vito Bollettino, Sandrone Dazieri, Romano De Marco, Gianfranco Ferrari, Ida Ferrari. Paolo Franchini, Angelo Marenzana, Frank Gordon, Marco Vichi.
L'antologia si può acquistare su Lulu.com.

Buona lettura.
Sam Stoner

venerdì 9 novembre 2012

RECENSIONI:Adam Ross | Mr Peanut


 

2012 © by Sam Stoner

Mr Peanut,  romanzo giallo osannato dalla critica più esigente, ossia da quel manipolo di blogger e giornalisti che celebrano ogni opera incomprensibile. E così Livia Manera sul Corriere della Sera scrive ”Mr Peanut è un libro che ha ambizioni letterarie forti. La sua è una lingua vitale, la sua architettura di rimandi e ripetizioni è nabokoviana, l'abilità descrittiva davvero notevole”
Probabile che Livia abbia confuso il romanzo di Ross con qualche altro libro perché Mr Peanut è un romanzo inutile. Noioso. Confuso.
Molti sostengono che il suo pregio sta nello sviscerare i lati più oscuri del matrimonio. Se è vero che molto spazio è dato alla descrizione delle dinamiche proprie del rapporto a due, è anche vero che Ross descrive, non analizza, butta sulle pagine situazioni casalinghe incapace di esaltare con la scrittura i lati drammatici e ironici propri della vita matrimoniale. Ross sa annoiare come ben pochi autori. Lo testimoniano le decine e decine di pagine sulle quali si dilunga su scene che non portano da nessuna parte.
Non se ne comprende il senso.
Ma tutto sta nel bluff  innescato dalla quarta di copertina e dell’incipit, questo sì, davvero straordinario. Le prime pagine sono contraddistinte da uno stile di scrittura brillante e veloce capace di affascinare anche il più smaliziato ed esigente lettore. La trama promette un romanzo geniale che invece, come la scrittura, naufraga  miseramente nella più totale confusione narrativa e strutturale.
Personaggi che escono dal cilindro, neanche fosse un manuale di magia, coprotagonisti che narrano delle proprie vicende personali del tutto slegate dalla storia principale e che terminano improvvisamente così come sono spuntate fuori.
Adam Ross ha messo sul tavolo elementi di grande fascinazione  che se dosati ad arte  e legati con perizia e genio avrebbero potuto generare un romanzo straordinario, ma solo uno scrittore fuori dal comune avrebbe potuto realizzare questo miracolo.  Non lui. Mr Peanut resta solo un minestrone insipido.
Per quanto riguarda la scrittura c’è il tentativo di scopiazzare Philip Roth, obiettivo ambizioso e al di fuori delle capacità di Adam Ross, anche se gli si deve riconoscere il merito di aver tentato di emulare uno dei più grandi scrittori di sempre.
Posso concludere sconsigliando vivamente la lettura di questo deludente romanzo.
22 euro sono una rapina a mano armata.
 
 
La trama
Adam Ross
Il matrimonio e l'omicidio sono due facce della stessa medaglia, i due lati di un nastro di Moebius che si confondono l'uno nell'altro? Prendiamo David Pepin. David è innamorato della moglie fin dal primo giorno in cui si sono conosciuti - all'università seguivano un seminario sul cinema di Hitchcock - e da allora non ha mai smesso di esserlo: dopo tredici anni, e nonostante la depressione e l'obesità della donna, non riesce a immaginare una vita felice senza di lei. Eppure, allo stesso tempo, non riesce neanche a smettere di immaginare, con ossessiva costanza, la moglie morta: e spesso uccisa proprio da lui. Quando la morte (finalmente?) arriva, David ne è sconvolto: ma non basta questo per toglierlo dalla lista dei sospetti. Si tratta di suicidio, come giura lui, o omicidio - un omicidio che forse lo stesso David ignora di aver commesso? Anche gli investigatori chiamati a risolvere il giallo sono degli esperti di amore e odio coniugale: Ward Hastroll (anagramma di Lars Thorwald: l'uxoricida della Finestra sul cortile) ha una moglie che da cinque mesi non vuole lasciare il letto. Mentre il secondo detective è addirittura Sam Sheppard, il medico che negli anni Cinquanta fu accusato di aver ucciso la moglie, condannato da una giuria fortemente influenzata dalla stampa ostile e solo dopo dieci anni riconosciuto innocente. A questo punto il lettore ha capito che quello che ha tra le mani non è un semplice giallo.
 L’autore
Adam Ross è nato a New York. Suoi reportage e racconti sono apparsi sul «Wall Street Journal», «New York Times Book Review», «The Daily Beast». Mr Peanut (Einaudi 2012) è il suo primo romanzo.
 
Mr Peanut
Adam Ross
2012
Einauidi
Pag. 359
Traduzione Cristiana Mennella

martedì 16 ottobre 2012

Ogni amore tradisce





Leonid Pasternak
  

di Sam Stoner

Da quando ho cominciato a prendere contatti con il mondo editoriale la mia scrittura ha subito una brusca frenata. Ricordo con nostalgia i tempi in cui mi divertivo a scrivere. Già, tempi lontani. Entravo in rete e sfidavo ogni scrittore a fare meglio di me. Sfide su sfide. Un’ora di tempo per costruire un racconto capace di affascinare i lettori. Ricordo le parolacce che ricevevo, così come le lodi. Ricordo il piacere di inventare a briglia sciolta. L’adrenalina che scorreva tra le parole.
Poi è arrivato Facebook, le amicizie con editori, scrittori - non quelli che scrivono ma quelli pubblicati - i giornalisti, i blogger, i critici, gli editor, gli agenti e tutto il carrozzone di cartapesta che si sparla addosso lodandosi, ma che non ha che fare con la scrittura, così come la intendo io. Su Facebook ho perso gli amici con i quali mi divertivo a scrivere, a inventare. Oggi su oltre 1.000 amici solo due sono capaci di riportare a galla quei tempi.
Prima erano molti. Persino quelli che su Facebook sembrano spregiudicati e folli sono solo scimmie ammaestrate. Non valgono un cazzo. Sì, sono proprio disgustato da tutto questo.
Mi piacerebbe confrontarmi con gli altri scrittori, a turno dare un titolo e dopo un’ora mettere on line un racconto da far giudicare ai lettori, ma non lo fa nessuno, sono pubblicati e non si smerderebbero con uno qualunque come me. Sì perché gli farei il culo. O forse loro lo farebbero a me, ma almeno sentirei di nuovo il piacere di scrivere. Piacere che ho perso del tutto.
Non scrivo più per me e nemmeno per chi mi leggerà.
Scrivo per gli editori, per gli editor, per gli addetti ai lavori. Scrivo pensando a cosa possa piacergli. Perché sono loro che decideranno se sarò pubblicato.
E questa non è scrittura, questa è una tortura, una lenta e inesorabile tortura che non voglio più.
Capisco gente come Salinger, McCarthy, Pynchon ritirati da tutto e tutti. È il solo modo per scrivere. Stare lontano da tutti. Però in fondo direte, Ma chi cazzo sei tu per scrivere questa roba? Nessuno. Un coglione qualunque incontrato per caso in questo circo della vita.
Un coglione che si autocommisera e che gode nel mandare affanculo il mondo.

Amen.

lunedì 8 ottobre 2012

RECENSIONI: Cormac McCarthy | Non è un paese per vecchi

Anton Chigurh, il cattivo, in una scena del film dei fratelli Cohen
Per chi non lo conosce, è uno dei quattro grandi autori americani contemporanei insieme a Don De Lillo, Pynchon e Philp Roth.
Non è facile leggere McCarthy. Ma se ci riesci, assapori un gusto unico.
Tra i suoi romanzi questo è il più fruibile, oserei dire il più facile da leggere. Sarà che ne è stato tratto un film di grande successo a firma dei fratelli Cohen: una pellicola fedele al romanzo, capace di riportare sullo schermo l’essenza, lo spirito di questo intenso romanzo.
Il linguaggio adottato da McCarthy è semplice. Già, sembra quasi una bestemmia per chi conosce la sua scrittura, ma ciò che ha fatto è qualcosa di micidiale: elabora una narrazione secca, asciutta e spietata. Niente fronzoli, niente trucchetti. Qualcuno potrebbe obiettare che è facile raccontare una storia in questo modo. Be’, questo qualcuno sarebbe in malafede. Perché non esistono oggi autori capaci di mantenere una tale coerenza di scrittura per 250 pagine. Mai uno scivolone, un solo termine fuori posto, una frase che suoni scontata, un periodo che non mantenga la sua musicalità. Quella del blues più amaro a dodici corde di LeadBelly.
Cormac McCarthy
Qui c’è il sud degli Stati Uniti, e c’è la sconfitta di ogni valore posto alla base della società. Qui c’è il totale sprezzo della vita e della legge, del buon senso e della morale.
La sola voce narrante è dello sceriffo Bell. Un uomo deciso a difendere la propria gente e a mantenere l’ordine sociale. Non perché così gli è stato detto di fare, ma perché è così che deve essere.
Una voce stanca e sorpresa, sincera e comprensiva. Una di quelle voci che sanno come va il mondo, che sanno quando è tempo di far tacere la legge e lasciar correre e quando è necessario far scintillare la stella e la canna zincata della sua pistola. C’è il cattivo, Chigurh: uno dei più spietati cattivi mai incontrati nella storia del Noir. McCarthy non lo glorifica, lo racconta. Un tipo del quale aver paura. “Una persona qualunque” lo descrive un testimone. “Un killer psicopatico”, lo descrive un altro sicario. Uno che si fa arrestare solo per vedere come riuscirà a far fuori i poliziotti e poi fuggire.
E poi ci sono rapporti matrimoniali fuori dall’ordinario, trafficanti di droga, brava gente attratta dal crimine, un mucchio di soldi che passa di mano in mano, una scia di sangue e violenza dalla quale nessuno si salva. Il tutto narrato senza affanno. Come diceva il protagonista del film Gli Spietati, William Munny (Clint Eastwood N.d.A.): per restare vivo bisogna essere freddi, guardare negli occhi chi ti sta davanti e colpirlo, fregandosene delle pallottole che sibilano vicino la testa. E non importa quanti avversari hai davanti, conta solo restare freddi. E questo McCarthy lo sa bene.
Stesso registro per i dialoghi. Sembra che McCarthy utilizzi lo scalpello. Ogni battuta, un nuovo intaglio. Fino a dar forma a personaggi possenti che trasudano onestà. Nessun personaggio sopra le righe. Nessuna parola fuori posto. Le battute sono dette a mezza bocca, non per far sorridere ma perché così si parla nel Texas.

Da leggere.

Trama: Nel 1980, nel Texas meridionale, al confine con il Messico, il giovane Llewelyn Moss, un reduce dal Vietnam, si imbatte, mentre sta cacciando antilopi nella prateria, in un convoglio di jeep colme di cadaveri, di droga e di soldi. Prende i soldi e decide di tenerseli, ma diventa subito la preda di una spietata partita di caccia: inseguito dai trafficanti, da uno sceriffo vecchia maniera, nonché dal solitario Chigurh, un assassino psicopatico munito di una pistola da mattatoio. Moss tenta disperatamente di sfuggire a un destino inevitabile, coinvolgendo per ingenuità la giovanissima moglie.

Cormac Mc Carthy
Non è un paese per vecchi
Einaudi
pag 250
€ 10,80
Traduzione di Martina Testa



venerdì 14 settembre 2012

Noir. E' anche musica, straziante e perdente.

Questa versione di Love is a losing game (L'amore è un gioco perso o perdente) di Amy Winehouse offre un magistrale esempio di canzone noir, per atmosfera, testo e interpretazione.

Charles Frazier sceglie i cinque miglior romanzi Hard Boiled

Di Charles Frazier
(Articolo pubblicato da The Telegraph ) 

Traduzione di Sam Stoner
L’hard boiled crime fiction raggiunse il suo apice durante gli anni Venti e Trenta. Scrittori come Dashiell Hammett e Raymond Chandler riuscirono a sviluppare un distinto stile letterario. Come nei film noir che poi avrebbero ispirato, i migliori romanzi hard boiled fecero dello Stile di scrittura il primo mezzo per delineare personaggi e luoghi.
Il primo romanzo di Hammett Red Harvest (1929), è una sanguinosa storia amorale di un detective privato in una città mineraria corrotta. La violenza si intensifica in modo addirittura comico,ma il linguaggio serrato è quello che avrebbe potuto usare Hemingway nel descrivere un film di Sergio Leone.
Il postino suona sempre due volte (1934) inizia con uno dei più grandi incipit: "Mi hanno buttato giù dal camion di fieno a mezzogiorno." Da qui, James M Cain riesce a tessere un racconto di lussuria, avidità, gelosia e omicidio.
Il lungo addio (1953) ha il mio voto per il miglior romanzo di Chandler. Non è così finemente lavorato come il suo precedente lavoro, ma si avverte una maggiore ricchezza e profondità accompagnata da un mood che definirei autunnale.
L’amaro, cinico capolavoro pulp di Jim Thompson, Pop. 1280 (1964), probabilmente è un gusto acquisito. La narrazione in prima persona, però, è brillante, e l'humour non poteva essere più nero.
Daniel Woodrell di Give Us a Kiss (1996) è uno dei miei preferiti discendenti moderni del genere. Mi piacerebbe metterlo su uno dei rami dell'albero genealogico di Chandler, soprattutto perché la prosa di Woodrell è una vera delizia che si snoda frase dopo frase.

Articolo originale in inglese a questo link http://www.telegraph.co.uk/culture/8781967/Charles-Frazier-chooses-five-of-the-best-hardboiled-novels.html


Charles Frazier, scrittore statunitense. Il suo romanzo di maggior successo è Ritorno a Cold Mountain.

domenica 9 settembre 2012

RECENSIONI: Michael Connelly | Ghiaccio nero



di Sam Stoner

Volevo essere spietato in questa recensione, ma ci sarebbe stato un problema: se sarò spietato con un peso massimo come Connelly, e con questo che è il secondo romanzo che lo ha consacrato come uno dei più grandi narratori thriller al mondo, cosa dovrò fare con tutti gli altri scrittori, me compreso? Michael, ti ha detto bene, sarò soltanto crudele.
Michael Connelly
Ghiaccio nero non mi ha esaltato.
Ok, c’è Bosch, c’è una Los Angeles noir (ma non troppo), ci sono poliziotti corrotti e una criminalità spietata, c’è una storia d’amore, c’è una trama elaborata e il colpo di scena finale. Ma… purtroppo c’è un “Ma”. Un “ma” che si sostanzia in vari punti deboli che Connelly ha razionalmente introdotto per sostenere una trama eccessivamente complessa e per permettere a Bosch di fare la sua parte di “giustiziere” contro tutti. Ma perché, mi chiedo, I vari personaggi sullo sfondo, buoni e cattivi, debbono fare la parte di beoni superficiali e incompetenti, perché suggerire velatamente al lettore che alcuni i colleghi di Bosch siano addirittura corrotti per giustificare il loro comportamento, quando così non è? La risposta è semplice, far fare bella figura a Bosch, il solo, ad esempio, che chiede le impronte digitali del poliziotto morto al dipartimento, come da procedura, tutti gli altri, capo medico patologo e i suoi assistenti, l’Aiuto Capo di polizia, il capitano di Bosch, guardano il cadavere e dicono:” ll cadavere indossa gli stivali di Calexico (il polizotto morto) quindi è lui. Caso chiuso”. Ora, con tutta la buona volontà….
Inoltre, il finale offre scenari militareschi, con elicotteri silenziosi da combattimento, visori notturni e altre trovate ipertecnologiche perfette per i cultori del genere, ma che io non apprezzo molto.
Per questo dico che il secondo romanzo di Connelly è un buon romanzo, ma non un gran romanzo.


Trama:
In un motel di periferia viene rinvenuto il cadavere di un poliziotto. Si è sparato alla testa con un fucile a canna doppia e ha lasciato un biglietto d'addio. Sembra un caso semplice, ma Harry Bosch, detective della divisione Hollywood a Los Angeles, non è convinto. Calexico Moore, il presunto suicida, stava indagando sul traffico di una nuova droga, il "ghiaccio nero", e Bosch sapeva che non aveva alcun motivo di togliersi la vita. Deciso ad andare fino in fondo, Bosch si fa mandare in Messico per continuare l'indagine iniziata da Moore.




2008
Pagine 393
brossura
Traduttore Montanari G.
Prezzo di copertina € 10,50
Editore PIEMME



mercoledì 5 settembre 2012

Ceme&Tery Cafe



In questo breve racconto troverete "la Morte così come non l'avete mai vista..."
Ho offerto una personale lettura della realtà e delle dimensioni parallele che ci accompagnano quotidianamente. I dialoghi sono forti, sia per il contenuto che per i termini usati, alla larga gli animi sensibili.
Agghiacciante e divertente.

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lunedì 20 agosto 2012

Sam Stoner su Words Social Forum












"Me ne stavo lì, a terra. Con un fiotto di sangue che si riversava su quel freddo e desolato marciapiede.
Stavo crepando.
Lo sapevo e non potevo farci niente, se non aspettare la morte..."


Il mio racconto "L'inferno" presente nelle pagine di Words Social Forum.
WSP, un Centro sociale dell'arte, un non-luogo che trae nutrimento dalla più ampia pluralità di voci e filoni di pensiero. Lo strumento per condividere, ideare e diffondere nuove idee e progetti, oltre quello della critica intelligente, seppur mordace e caustica, il motore perchè si realizzi uno scambio culturale il più ampio e ispirato possibile.Grazie ad Antonella Taravella per il gentile invito.

venerdì 3 agosto 2012

RECENSIONI: John Fante | Chiedi alla polvere


"Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d'albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante della mia vita; dovevo prendere una decisione nei confronti dell'albergo. O pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce a andandomene a letto."



Non scriverò di Chiedi alla polvere.
Perché nessuno deve convincersi di leggere FANTE.
Io ho impiegato anni per leggerlo.
Sapete il perché?
È stato a causa di quegli sciatti e volgari scribacchini che imbrattano la quarta di copertina delle sue opere.
Parole dannose, le loro.
John Fante
Parole buone solo per teste stanche e vuote, non per me, per la mia fulgida intelligenza e per la mia sensibilità delicata. La loro prosa arida e vuota è incapace di cogliere l’essenza della scrittura di Fante.
Anzi, è incapace di cogliere l’essenza di qualsiasi scrittura.
Come posso arrogarmi il diritto di dirvi come scrive Fante o cosa scrive? Che senso avrebbe? Il solo consiglio che posso darvi è di andare in una libreria, prendere un romanzo di Fante, aprire a caso su una pagina e leggere. Forse vi piacerà, forse lo troverete supponente pazzo e violento. Forse lo troverete inutile. Forse vi sconvolgerà. Solo così potrete capire.
Riguardo me, posso dirvi che mi ha conquistato. È passione, è amore, è delicatezza, è fulgore, è poesia. È una scrittura che nessuno potrà mai possedere ma solo desiderare.
Si potrà amare, segretamente, nel silenzio delle polverose scale di Bunker Hill.




8 aprile 1909 - John Fante nasce a Denver, Colorado da una famiglia di immigrati italiani

1932 - si trasferisce a Los Angeles Viene pubblicato un suo racconto su The American Mercury.
1937 - John sposa Joyce Smart, da cui avrà quattro figli.
1938 - Wait until spring, Bandini
1939 - Ask the Dust
1940 - Dago Red, una raccolta di racconti.
1952 - Full of Life
1956 – La Columbia Pictures acquista i diritti per fare un film da Full of Life. Fante può lavorare (per la prima e unica volta) a una sceneggiatura tratta da un suo libro. Il film avrà la regia di Richard Quine. I protagonisti saranno Judy Holliday (premio Oscar 1950), Richard Conte e per la prima volta sullo schermo Salvatore Boccaloni, stella del Metropolitan Opera. La sceneggiatura ottenne la candidatura come miglior commedia dalla Writers Guild of America.
1957 - E' in Italia e lavora come sceneggiatore insieme a Richard Quine per la sceneggiatura di un film, The Roses, il cui ruolo protagonista la Columbia vuole affidare a Jack Lemmon. Risiede a Napoli (nel lussuoso Hotel Vesuvio) per sette settimane. Ma il film non vedrà mai la luce.
1960 – Accetta, dopo tanta insistenza da parte del produttore italiano, un contratto con Dino De Laurentiis. Rimane oltre due mesi nella Roma della Dolce vita e delle Olimpiadi. La sceneggiatura diventa un film dal titolo (italiano) Il re di Poggioreale. La regia è dell’abruzzese Duilio Coletti. Il protagonista è Ernest Borgnine.
1977 – The Brotherhood of Grape, l’ultimo romanzo scritto da Fante
1979 – Dreams from Bunker Hill, il suo ultimo libro  che uscirà solo nel gennaio 1982.

giovedì 19 luglio 2012

RECENSIONI: Geroges Simenon | La neve era sporca


Questa recensione non vuole essere un oggettivo e distaccato giudizio sull’opera in questione, esprime solo il mio personale punto di vista sulla stessa.


Come sempre, i “critici”, quelli ufficiali, non capiscono un cazzo.
Questo è il mio primo Simenon.
Perché non ne ho mai letto uno? Semplice, amo la letteratura anglosassone e non mi fido molto dei cugini francesi. Lessi un Vargas, tempo fa. Roba buona per ragazzini delle elementari. La mia esperienza francese morì con Fred. Poi un giorno lessi una recensione di questo romanzo firmata dallo scrittore Marco Proietti Mancini. Uomo di grande sensibilità. In realtà mi fermai al primo paragrafo. Fu sufficiente per decidere di leggere “La neve era sporca” e non volevo farmi influenzare dalla recensione.
Così, andai in biblioteca. Sembrava mi stesse aspettando. Lo avevano letto solo in tre. Era praticamente nuovo.
Lessi la quarta di copertina. Mi puzzò. Non mi piacciono i romanzi di guerra, figuriamoci l’occupazione nazista. L’autore della quarta, ci aveva infilato pure un bel “una città dove tutto è tradimento e doppiogioco”. Se fossi il signor Adelphi gli avrei dato un calcio nelle palle. Peccato che non si sappia chi sia questo idiota. Sì, perché in questo romanzo l’occupazione nazista e il doppiogioco non centrano un beneamato cazzo.
Questo però, si sa solo alla fine. Dopo averlo letto.
La prima pagina del romanzo è scritta da schifo. L’ho dovuta leggere almeno tre volte per capirci qualcosa. Tre nomi che si intrecciano tra loro confondendo le idee. Ok, sono i protagonisti, ma posso assicurarvi che si poteva fare di meglio. Malgrado la quarta di copertina e l’incipit, vado avanti.
La storia comincia a delinearsi.
Dentro c’è Dostoevskij, “Delitto e castigo” e “Memorie dal sottosuolo”, per l’esattezza.
E poi c’è Orwell con il suo capolavoro “1984”.
C’è la colpa, il peccato, l’assassinio, la discesa negli inferi del protagonista, i suoi pensieri, l’essere carnefice e vittima, succube del suo malessere marcescente, c’è il rifiuto dell’amore, un rifiuto violento, spregevole. C’è il grande occhio, colui che tutto conosce e sa. Ci sono uomini senza volto pronti a prelevarci dal letto per segregarci in anonime e disperate celle. E cosa è tutto questo se non la nostra coscienza che si ribella alle nostre azioni? Tutto è simbolico in “La neve era sporca”. I nazisti, di cui parla l’idiota in quarta di copertina non esistono. L’occupazione, la guerra, tutte baggianate inventate dalla povera mente di un inetto.
C’è invece il terrore di essere presi in qualsiasi momento da qualcuno che ci osserva, che conosce ogni nostra azione e forse anche i nostri pensieri.

Non vi parlerò della storia.
Vi dirò solo che si tratta della disperata ricerca di se stessi. Una ricerca che a volte può assumere toni drammatici e tragici. Lacerazione pura della propria coscienza e della morale.
Simenon ha fatto uno straordinario lavoro. Ha permeato di sensibilità francese il mio amato Raskol nikov inserendolo in un contesto dove i ruoli di ognuno vengono alla fine completamente ribaltati, la primegenea e nera versione di Truman Show.
Si può parlare di capolavoro. Ma non è un Noir, e nemmeno un giallo, tanto meno una spy story oppure un thriller.
È un dramma introspettivo. Dei migliori.
Per chi scrive: una lezione su come rendere il flusso di coscienza e su come costruire un personaggio attraverso le sue azioni e le sue parole. Senza raccontare nulla, lasciando parlare la sua vita.
Da leggere. Assolutamente.



.Mi permetto di citare le parole di Marco Proietti Mancini a proposito del romanzo di Simenon. Parole che mi hanno indotto alla lettura.
"Semplicemente IMMENSO.
Eppure, ve lo giuro, diverso da qualsiasi altro Simenon letto prima, ed io ne ho letti almeno una settantina (ho perso il conto). Di Simenon non c'è nulla, nulla che non mi sia piaciuto, qualcuno dei suoi libri mi è piaciuto moltissimo. Ma questo nella sua dolorosa crudezza, nel cinismo e nella fredda descrizione della malvagità, senza nessun orpello, senza nessun bisogno di arricchirla, è sconvolgentemente bello.
La casualità del male, il male peggiore, non il male del diavolo, ma il male dell'uomo qualsiasi."
(2012 by Marco Proietti Mancini)



La neve era sporca
Autore Simenon Georges
Prezzo € 10.00
Anno 2004,
pagine 266
brossura, 2 ed.
Traduttore Visetti M.
Editore Adelphi (collana Gli Adelphi)